Anch’io per la pace
“Questo mio abbraccio a Muhannad voglio sia l’abbraccio che il mio popolo dà al suo”. Lo dice con voce un po’ sincopata dall’emozione Ivana di New York, rivolgendosi al giovane iracheno accanto a lei. E lo fa non al tavolino di un bar o al telefono, ma in una piazza zeppa di gente che approva e applaude. “Anch’io per la pace”: una scritta colorata e lunga dieci metri precisa il senso delle tre ore di manifestazione. E poi cartelloni variopinti di varia forma, pensieri forti dei grandi testimoni. A realizzarli, ci hanno pensato gli studenti dell’Istituto d’arte. “Quanto si va realizzando, pur da noi fortemente voluto, sembra ancora un sogno”. Così dice uno dei giovani delle 25 associazioni che operano a Trento, in un convenire “ecumenico”, dall’area del social forum fino alle gioventù francescana e carmelitana. In tempo record si sono incontrati, si sono capiti, si sono mossi. Ed eccoli sul palco a dire il loro impegno per la pace, con diverse tonalità, ma a una sola voce. Come le loro musiche: nove gruppi musicali di genere diversi, che scandiscono l’intero programma con canzoni composte anche per l’occasione. Volevamo proprio una celebrazione della pace”, un momento che interrogasse le coscienze, che desse visibilità alla necessità assoluta di pace e alla comune responsabilità nel costruirla. Voci ascoltate con grande partecipazione sono state ovviamente quelle provenienti dai paesi attraversate da conflitti più o meno accesi: quelle di Muhannad dell’Iraq e Ivana degli Stati Uniti, ovviamente, ma anche Martine della Costa d’Avorio, Jovin del Burundi ed Efi dell’Indonesia. Testimonianze che hanno detto con dignità quale è il prezzo da pagare nel costruire la pace. E poi ragazze musulmane del Marocco, dell’Algeria e della Palestina, e alcuni giovani buddhisti del Tibet. Ospite di eccezione, la signora Tara Gandhi, una delle nipoti del Mahatma, interprete attiva del suo messaggio. La sua partecipazione, che una felice coincidenza di date ha reso possibile, è una sorpresa. Porta un messaggio vibrante, ma espresso a bassa voce, che penetra in quanti la ascoltano con la forza della verità. Tra l’altro ha detto: “Gandhi, finché era in vita era indiano. Ora appartiene a tutta l’umanità. Gandhi non aveva un Gandhi davanti a lui. Egli ascoltava la propria coscienza. L’oggi dipende da noi, da ciò che facciamo con la nostra vita. Gandhi ha trattato la sua vita, la sua mente, la sua anima come dono di Dio. E ciò che ha fatto era per lui cosa molto sacra. Egli ha sempre lottato dicendo: la mia vita sperimenti la verità. Il suo messaggio di non violenza vuol dire avere il coraggio di insistere sulla verità con amore. In sintesi: coraggio, amore e verità. Dobbiamo sostituire il filo negativo di paura con il filo dell’amore”. Tara ringrazia la piazza, ma la piazza ringrazia lei. “Quando se ne è andata – dice uno degli organizzatori -, ci si accorge che il Gandhi che porta in sé è ora dentro anche ciascuno di noi”. Una serata, quella a piazza Cesare Battisti, che apre nuove prospettive all’impegno condiviso da tutti i presenti. “Se la guerra è la sconfitta dell’umanità – si dice -, la ricerca della pace vogliamo sia la nostra comune sfida”. HANNO DETTO Micaela Bertoldi, assessore alla cultura e alle culture per la pace del comune di Trento: “È una nuova e importante dimostrazione di come la città abbia maturato la consapevolezza che è indispensabile costruire percorsi di pace e approfondirne le ragioni. Credo debbano “toccarsi”, in tangenziale, l’impegno dei movimenti, delle associazioni, del volontariato, con l’impegno delle istituzioni. Se a prendere l’iniziativa fossero solo le istituzioni, sarebbe un porsi dall’alto, senza l’efficacia della consapevolezza e della cultura politica delle persone. Se a farlo fossero da sole le realtà dei movimenti, per quanto forti la loro determinazione e fede culturale o politica o religiosa, sarebbe difficile raggiungere l’obiettivo. La forza sta nell’intrecciarsi in uno stimolo reciproco, senza presunzioni di autosufficienza”. Giuliano Rizzi, Ingegneria senza frontiere: “Mi è rimasta l’idea di “fare la pace” nelle piccole cose quotidiane, nel cercare di risolvere i conflitti di ogni giorno, nel non rimandare il chiarire le situazioni”. Damiano Avi, Forum trentino per la pace: “Abbiamo fatto la prova di guardare le cose da dentro, da vicino. L’hanno testimoniato persone di paesi, culture e religioni differenti; gruppi che hanno promosso un’iniziativa germinata in origine da una singola realtà, ma diventata patrimonio condiviso da tutti”. Simona Scalfi, Giudicariesi per la pace: “Non ci sta bene una guerra “inevitabile”, né che “prevenire” equivalga ad ammazzare, né che il petrolio conti più di un bambino… Non ci sta bene che il nostro amore per la pace, espresso ad alta voce in questi giorni, venga minimizzato, rimanga inascoltato. La politica per noi è “il luogo dei miracoli””. Anna Ballardini, Un ponte per”: “Il 15 febbraio ero a Baghdad, a marciare per la pace. Dobbiamo imparare a gettare ponti, non bombe; ponti che uniscano le società civili irachena e statunitense, italiana, palestinese, israeliana””.