Anch’io ho visto il muro di Berlino
Era una triste “curiosità”, nella Berlino-Ovest, salire su quel palco di legno per vedere lo spettacolo oltre il muro. Il rumore della curiosità, lo scalpitio sulle scale di legno, le voci di chi sa tutto… di colpo diventavano silenzio.
Oltre la striscia della morte, cimitero senza lacrime e senza giustizia, ecco i palazzi di Berlino-Est. Grigio come ogni tristezza, il quadro che si presentava era lo scenario di un pezzo già recitato e i fondali sbiaditi testimoniavano che una volta era avvenuto qualcosa, una volta c’era stata vita.
Grigi i palazzi, le finestre murate, le strade dove cresceva erba disorientata.
Poi sono passato dall’altra parte del muro. La città, omologata allo stile comunista, con lo stesso progetto edilizio che si ripeteva da Mosca a Sofia e Belgrado, con monumenti vigorosi di forza ideologica e muscoli da lavoro, non riusciva a dire niente di più di ciò di cui si vantava ogni altro paese satellite.
Vivevo in Ungheria negli anni Ottanta ed ero lì quando, nell’estate dell’1989, il governo ungherese, ai i tedeschi della Ddr che trascorrevano le vacanze al Lago Balaton, diede possibilità di espatriare in Occidente. Cominciava così il crollo di quel muro che, poco più di tre mesi dopo, il 9 novembre, il governo tedesco orientale, deciderà di abbattere.
Oggi un ideale “confine di luce” lungo più di 15 chilometri, illumina per tre giorni il percorso del muro originale. Sono palloncini bianchi illuminati che saliranno in cielo, lì dove si raccolgono le bizzarrie della storia e la speranza di non ripetere errori.
25 anni fa assistevo al crollo del muro con un certo timore: pur consapevole del valore della libertà, immaginavo la delusione di quanti avevano sognato l’Occidente come un paradiso.
Gli anniversari vorrebbero aiutare la storia a scrivere i suoi libri. Ma chi può spiegare che il paradiso terrestre sognato dai comunisti non si trova neppure in Occidente?