Anche spaccio e prostituzione arricchiscono l’Italia?
Come da comunicato del 22 maggio 2014, l’Istat ha annunciato di adeguare le proprie stime ai criteri europei di Eurostat che sono più esaustivi perché in grado di «comprendere tutte le attività che producono reddito, indipendentemente dal loro status giuridico».
Ovviamente l’Istituto di statistica nazionale ci tiene a precisare che «La misurazione di tali attività è molto difficile, per l’ovvia ragione che esse si sottraggono a qualsiasi forma di rilevazione, e lo stesso concetto di attività illegale può prestarsi a diverse interpretazioni».
Ma per garantire la massima comparabilità tra le stime prodotte dagli stati membri, Eurostat ha fornito linee guida ben definite che prevedono «le attività illegali di cui tutti i paesi inseriranno una stima nei conti (e quindi nel Pil) sono: traffico di sostanze stupefacenti, servizi della prostituzione e contrabbando (di sigarette o alcol)».
La notizia arriva all’indomani della dichiarazione del sindaco di Roma, Ignazio Marino, che si è detto favorevole, per motivi di decoro, all’adozione dei quartieri a luci rosse dedicati alla prostituzione, e della rilevazione dell’Istat sul crollo del 6,8 per cento dei consumi alimentari che ci riporta all'inizio delle serie storiche dell’Istat e cioè al 1995.
Di un lacerante grido di allarme parlano Abusdef e Federconsumatori.
Per leggere il fatto in maniera adeguata, anticipiamo il contributo dell’economista Luigino Bruni pubblicato per esteso sul prossimo numero di Città Nuova.
Pil e qualità della vita
di Luigino Bruni
Stando a quanto dicono i media, il principale obiettivo della nostra politica economica è riportare il Pil in zona positiva. Rilanciare la crescita. Troppi pochi, purtroppo, formulano invece una semplice domanda: siamo sicuri che aumentare il Pil, o la crescita, sia sempre e in ogni caso qualcosa di positivo e auspicabile? Il tasso di crescita del Pil dice troppo poco sul benessere, sulla qualità della vita, sulla democrazia, sui diritti e la libertà di una nazione. È sempre stato così, e i grandi economisti lo sapevano, e lo sanno. Ma nella nostra società la capacità di “parlare” del Pil si è ulteriormente indebolita, sebbene i dibattiti pubblici non lo sappiano, o facciano finta di non saperlo.
Nella società del XIX e XX secolo, dove l’economia produceva soprattutto merci e dove la gran parte dell’umanità mancava di molte cose necessarie per una vita decente, aumentare la produzione industriale e in genere il reddito delle famiglie era direttamente cosa buona; i beni diventavano facilmente ben-essere. Ma oggi, nelle nostre società dei consumi, che cosa dice, sul benessere delle persone, l’aumento della produzione e del consumo di telefonini e di divani? È diventato molto più complicato passare dall’aumento dei consumi di beni all’aumento del ben-essere. Ciò che il Pil indicava ieri, e oggi sempre meno, erano almeno i posti di lavoro: ma oggi con la forte meccanizzazione e informatizzazione dell’economia, non ci sono più garanzie che l’aumento del Pil porti anche all’aumento dell’occupazione, perché se il Pil aumenta grazie a imprese molto robotizzate che vendono per l’export, la crescita economica può portare, e porta già, decrescita di lavoro.
Duecento anni fa, gli economisti scelsero per le merci la parola “beni”, prendendola in prestito dalla filosofia morale: le merci dell’economia sono cose buone, cioè beni, perché possederli aumentava il bene personale e il bene comune. Oggi quel significato morale è andato totalmente perso, e chiamiamo ancora “bene” il pane, ma chiamiamo “beni” anche la pornografia, le mine anti-uomo, i gratta e vinci e il gioco d’azzardo, purché passino per il mercato. Al punto che in Polonia si parla di voler conteggiare nel Pil anche “beni” che non passano neanche per il mercato, quali la prostituzione e le varie attività illegali.
L’industria dell’azzardo, molto fiorente in Italia (che è la terza economia al mondo in questo settore indecente), è in forte crescita, e quindi sta contribuendo a rilanciare il Pil, e in questo anche posti di lavoro. Possiamo allora essere contenti di questa crescita, e magari incentivarla con la pubblicità, come stiamo facendo sempre più? In realtà dobbiamo dire a voce alta che questo Pil non è cosa buona, anzi è cosa cattiva, molto cattiva. E dobbiamo dire che questi posti di lavoro non sono una cosa buona, e dobbiamo far di tutto per ridurli. Ieri come oggi non tutti i posti di lavoro sono stati e sono cosa buona. Ci sono sempre stati lavori sbagliati, che la gente faceva, e fa, pur di non morire. Ma questo non deve impedire di distinguere il grano dalla zizzania, e poi far di tutto perché aumentino i lavori decenti e buoni e diminuiscano quelli sbagliati.
Non dobbiamo dimenticare che con l’abolizione della schiavitù in Europa e in America abbiamo perso migliaia di posti di lavoro, ma dopo pochi decenni abbiamo creato le rivoluzione industriali e tecniche proprio perché era venuta meno la schiavitù (lavoro a costo zero). I nostri nonni e genitori hanno lavorato nel Nord Europa in miniere, e poi tanti sono morti di silicosi per non morire di fame qualche decennio prima. Ma siamo riusciti, con la forza delle idee e del movimento dei lavoratori, a chiudere quei lavori e ad inventarne di migliori. In Italia e in altri Paesi europei abbiamo però perso la capacità di produrre buoni nuovi lavori, e così stanno tornando i cattivi lavori che pensavamo di aver sconfitto per sempre.
Stanno aumentando i lavoratori nelle sale bingo, nelle video-lottery, nelle sale-slot (oltre 150 mila contando solo quelli ufficiali), nella pornografia, nel mondo delle tante prostituzioni e abusi. Sta di nuovo aumentando, e di molto, il consumo di tabacco tra i giovani (anche perché abbiamo mollato la prevenzione nelle scuole), e di alcol, e il consumo di televisione, dopo un calo tra anni Novanta e inizio di millennio, da qualche anno è di nuovo aumentato tornando al livello altissimo degli anni Ottanta. Tutto Pil, tutta crescita, dicono in molti. Tutta tristezza, solitudine, e “disumanesimo”, dicono altri, ma ancora siamo in troppo pochi. La democrazia è stata per secoli una “distruzione creatrice” che ha fatto morire attività e lavori sbagliati per farne nascere di migliori al loro posto.
In questa cruciale fase di passaggio dell’Italia e dell’Europa, c’è un estremo bisogno di alzare il livello dei dibattiti pubblici e di riporre al centro la qualità morale del nostro sistema economico.