Anche questa è la mano di Dio

Il viaggio in treno da Amsterdam a Bruxelles doveva essere semplice e senza complicazioni. Una serie di traversie e sfortune lo trasformano in un'odissea che può essere affrontata solo grazie all’incontro con altri viaggiatori
Foto Pexels

Dicono che chi lascia tutto nelle mani di Dio vede la mano di Dio in ogni cosa. Credo che questo sia ciò che mi è successo quando sono stata ad Amsterdam per trovare una mia amica nella comunità giovanile in cui vive.

A dire il vero, non sono una di quelle persone che escono di casa con largo anticipo rispetto a un viaggio, ma comunque mi assicuro di avere abbastanza tempo per arrivare in orario e non perdere la coincidenza. Questa volta pensavo sarebbe stato facile, tutto sommato, perché il Paese è ben collegato e i mezzi di trasporto funzionano come si deve. L’unica complicazione era che non ero mai stata lì prima, quindi non conoscevo le strade e i nomi delle fermate, che tra l’altro sono scritti in una lingua che non capisco.

Ammetto che i tempi erano stretti: sono corsa fuori dalla casa che mi aveva ospitato, perché non potevo perdere il tram. Arrivo alla stazione ferroviaria senza indugio, proprio come indicato dai cartelli, ma ho i minuti contati e devo fare attenzione per capire dove si trovano i binari. Guardo sugli schermi, non trovo il mio treno, non comprendo bene cosa c’è scritto, ma presumo che sia il numero 8 e cerco di andare lì senza perdere tempo.

Il primo ostacolo compare al tornello di ingresso, perché non riesco a far leggere il mio QR dal sensore. Ma come arriva il problema arriva anche la soluzione. Due ragazze italiane si salutano affianco a me e chiedo loro aiuto per entrare. Le porte si aprono e corro verso quello che penso sia il mio binario.

Arrivo e chiedo alla prima persona che incontro: il mio treno non è lì, ma lei non sa dov’è. Mi indica un’addetta alla stazione, che controlla rapidamente sul suo cellulare. A questo punto mancano solo 5 minuti alla partenza del treno. La signora mi consiglia di chiedere al punto informazioni, perché a quanto pare bisogna fare un cambio: il mio treno non va più direttamente all’aeroporto di Bruxelles come avrebbe dovuto.

Corro e trovo persone in fila che attendono. Gentilmente mi lasciano passare. Gli addetti mi spiegano che ci sono lavori sui binari per cui devo recarmi a Rotterdam e lì prendere il treno diretto per l’aeroporto. Volo verso il binario indicato e vedo che la gente fa a gara per salire, la carrozza è strapiena e a quanto pare anche quelle successive. Non ho tempo di controllare. Salgo sui gradini mobili e rimango lì, appiccicata agli altri passeggeri, sapendo che dovrò fare un passo in più verso l’interno. In quell’istante una mano con tenerezza e decisione mi afferra per la spalla e mi tira dentro, permettendo alle porte di chiudersi proprio dietro di me. In quel momento non ricordavo con precisione il nome della città verso cui mi stavo indirizzando; non era più Amsterdam quella in cui dovevo fare il cambio.

Questo treno avrebbe fatto solo due fermate e non era il viaggio breve che avevo immaginato. Chiedo aiuto e sento una voce dietro di me che si offre di guidarmi. È lo stesso uomo che mi aveva aiutato qualche secondo prima. Mi tranquillizzo quando capisco la strada da fare, anche se la calma non è ancora arrivata del tutto perché, se va bene, avrò solo 5 minuti per prendere la coincidenza.

Arriviamo alla prima delle due fermate e si forma una lunga coda. La porta che prima era aperta e che mi aveva permesso di salire sul treno ora è bloccata; infatti, un cartello rosso indicava che era difettosa secondo un controllo effettuato quello stesso giorno. I passeggeri iniziano a muoversi molto lentamente, la fila sembra non avanzare mai. Finché, a un certo punto, tra lo sconcerto e l’incredulità, il treno riparte senza che tutti i passeggeri siano riusciti a scendere; mi dispiace per loro.

Il contrattempo ci fa perdere qualche minuto e arriviamo a Rotterdam in ritardo. Ho solo un minuto per cambiare binario e, prevedibilmente, non ce la farò. Il treno parte davanti ai miei occhi e agli sguardi attoniti degli altri viaggiatori che si trovano in una situazione simile alla mia. Faccio una fugace ricerca e provo a tornare indietro per prendere un treno su un altro binario, ma anche questo parte proprio davanti a me. Penso che la cosa più intelligente da fare sia tornare con gli altri e cercare insieme l’opzione migliore.

Mentre tutti guardiamo i nostri cellulari e lo schermo della stazione per cercare un’alternativa, una ragazza olandese che sta andando in Belgio ci spiega che un altro treno farà lo stesso percorso un’ora dopo. La trovo una buona compagna di viaggio e mi rassicura ripetutamente che con quel treno arriverò direttamente all’aeroporto. Oltre a non viaggiare in solitudine, constatato che, se manteniamo il cuore aperto, il viaggio in questa vita non lo facciamo da soli.

All’arrivo in aeroporto faccio tutto a grande velocità per paura di perdere il volo, anche se non sarebbe necessario; una scritta sugli schermi elettronici indica: “Relax, le informazioni sul gate saranno comunicate a breve”.

A dire il vero, il treno che ho preso alla fine è quello che pensavo inizialmente di acquistare, ma facendomi consigliare e lasciando un po’ di margine per l’imprevisto, ho finito per prendere il treno precedente. Dopotutto, se avessi fatto le cose come avevo pensato all’inizio, probabilmente avrei dovuto affrettarmi di meno, ma mi sarei persa l’esperienza di incontrare le persone gentili e premurose che ho scoperto improvvisamente disponibili a dare una mano a una sconosciuta con il sorriso sulle labbra.

Ancora una volta, forse anche grazie ai momenti di preghiera che mi hanno accompagnato per tutto il fine settimana, mi rendo conto che il dialogo interiore con il Signore si concretizza poi nella vita quotidiana e che viene quasi spontaneo attribuire tutte queste carezze al Padre che, dall’alto e dal basso, guida ogni passo del nostro cammino.

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