Anche l’occhio vuole la sua parte
Luci soffuse. Una voce sensuale femminile s’incrocia con una suadente maschile. L’eros iniziale è subito smorzato dalla visione del personaggio di Mario interpretato da Michele Caputo che indossa un improbabile pigiama pezzato e si aggira sconsolato per la scena in procinto di suicidarsi.
Grottescamente non riesce a realizzare questo triste proposito perché c’è sempre qualcosa che non va: la carta per il biglietto d’addio, la penna che non si trova e poi è guasta, un cappio inadeguato. Quando sembra riuscire nell’intento, viene salvato in extremis da Emilio, l’amico avvocato, a cui da corpo l’esilarante Andrea Di Maria.
Da un incipit tragico, è bello poi bagnarsi in un diluvio di battute fatte di jamm, o' saccio, ‘naggia, oilloc, azz, propri della tradizione napoletana. Il protagonista che qui è anche autore con Velonà, riesce a colpire con garbo lo spettatore grazie anche alla regia di Maurizio Casagrande impegnato stavolta anche in veste di metteur en scène.
Ma quali sono i punti di forza di questo spettacolo? Lo chiediamo proprio a chi ha curato l’allestimento:
«A me interessa un teatro di svago che sappia far riflettere le persone. Questo spettacolo, infatti, non bada alle apparenze. La commedia pur essendo divertentissima tratta un tema profondo. Bisogna essere in grado di accettare la differenza, non sempre visibile, e permettere che l’occhio dell’altro veda ciò che siamo veramente. Talvolta, purtroppo, abbiamo la tendenza a non domandarci veramente chi siamo, uniformandoci ad un’idea che qualcun altro si è fatto di noi».
La strategia vincente in questo tempo di crisi?
«Essere unici rispetto agli altri, con forza, nonostante tutto».
Le prossime tappe di questo lavoro?
«Lo spettacolo è propedeutico per l’anno prossimo. Anche se ha richiesto poco meno di un mese di prove, non ci aspettavamo un tale consenso da parte del pubblico. Dopo Salerno, Napoli e Roma porteremo quest’opera in giro per tutto il territorio nazionale».