Anche io voglio fare la mia parte, ad Assisi

Secondo uno studio della Cgia di Mestre, nel decennio 2014-2024 l’Umbria ha perso 15 mila giovani di età compresa tra 15 e i 34 anni, dato più rilevante tra le regioni del Centro Italia. Viene allora da chiedersi: cosa impedisce ai giovani di immaginare un futuro in questa regione? È possibile restare?
Quando sei giovane, fai di tutto per sentirti all’altezza delle aspettative. Cresci con l’idea che il dovere venga prima e che il divertimento sia il premio: è questa l’educazione che abbiamo ricevuto dai nostri genitori, dalla scuola e poi dai film che abbiamo visto e dalle canzoni che abbiamo ascoltato. Poi crescendo ti rendi conto che per divertirti devi guadagnare, e il guadagno diventa la tua nuova caccia. Così si inseguono sogni come quello di Londra e della City, alimentati da storie che dipingono il mondo della finanza come un gioco per chi è bravo e meritevole.
Anche io ci sono passato. Al liceo e all’università, respiravamo tutti la stessa aria: il futuro sembrava scritto in numeri e mercati. Ho scelto Economia e finanza, mosso da un intreccio di ambizione e da un profondo senso di fraternità universale da realizzare con gli strumenti dell’economia, una aspirazione maturata all’interno del Movimento dei Focolari e nel progetto di Economia di Comunione.
Erano anni di crisi economica e si parlava di economia ogni giorno: il crollo di Lehman Brothers, la crisi dei mutui subprime, lo scandalo Monte dei Paschi e il fallimento delle banche territoriali in Italia. Era un mondo che cadeva a pezzi eppure prometteva infinite possibilità. In quel periodo ho fatto esperienze di studio e lavoro all’estero. Londra, Mannheim, Breslavia: città pulsanti, ricche di stimoli, perfette per chi vuole crescere ed è in cerca di opportunità.
Tornato in Italia ho scelto di stabilirmi a Milano, la città dove tutto sembra possibile. All’inizio Milano ti incanta: abiti eleganti da indossare ogni giorno, gerarchie da scalare, adrenalina a fiumi per i numerosi eventi. Ma presto scopri che sotto la superficie c’è un mondo fatto di competizione feroce e insoddisfazione cronica. Lavori senza sosta, cambi azienda per pochi euro in più, e ti ritrovi sempre più lontano da te stesso. La pandemia ha fermato tutto. Una pausa forzata, ma necessaria.
Così, ho deciso di tornare in Umbria e mi sono dimesso. Non è stata una decisione semplice: stipendi più bassi, meno tutele, un salto nel vuoto. Ho rifiutato le prime opportunità perché l’idea di lavorare senza riuscire ad avere una mia indipendenza economica, faticando per arrivare a fine mese, mi toglieva il sonno. Fortuna ha voluto che i miei superiori abbiano capito il motivo delle mie dimissioni: non stavo cercando un guadagno maggiore o benefit, ma sentivo la necessità di mettere al centro della mia vita l’importanza delle relazioni. Insieme, concordammo un trasferimento a Roma, con la possibilità di lavorare in smart working. Così oggi vivo gran parte del mio tempo nella mia città natale, Assisi.
Vivere ad Assisi è un onore e una responsabilità. Camminare per le sue strade significa sentire il peso della storia e della bellezza che custodisce. Questa terra, che ha dato i natali a Francesco e Chiara, ti chiama a uno stile di vita diverso, fatto di nonviolenza, fraternità e rispetto per la natura.
Qui, il mio impegno si concretizza insieme ad altre persone: il Movimento dei Focolari, il gruppo umbro di Economy of Francesco, l’attività politica. Ma l’Umbria ha le sue contraddizioni. Consumo di suolo, urbanizzazione sregolata, valli invase da capannoni inutilizzati. La cultura urbanistica, studiata nelle università di architettura, che ha reso celebri i nostri borghi come Assisi e Gubbio, sembra perduta. Il primo risultato di questo impegno è stato il libro collettivo “Il parco della piana di Assisi”, a cui ho contribuito con un capitolo.
Il Parco della Piana di Assisi rappresenta uno dei progetti più rilevanti per il futuro del nostro territorio. Dopo anni di urbanizzazione selvaggia, il Parco nasce con l’ambizioso obiettivo di rigenerare un paesaggio che è stato messo a dura prova, ma che ora è pronto a rinascere. In questo progetto credo fermamente e vi contribuisco attivamente, con la volontà di ridare vita alla natura, alle tradizioni agricole e alla comunità.
Il Parco si propone come esempio di sviluppo sostenibile, in cui uomo e natura convivono in armonia, creando spazi verdi accessibili a tutti e promuovendo attività e luoghi di aggregazione che favoriscano l’incontro e la socialità. Un progetto che mira non solo a ridurre l’impatto ambientale, ma anche a rilanciare l’economia locale, offrendo nuove opportunità di lavoro e crescita per le generazioni future, così come a rafforzare le relazioni tra le persone, in un territorio dove la città di Assisi, arroccata sul colle, sovrasta un insieme di piccoli centri abitati frazionati tra loro.
E poi ci sono le aziende umbre legate al settore bellico, un nodo che sto cercando di approfondire. Si parla di “dual use”, ma spesso mancano trasparenza e chiarezza. C’è chi accetta tutto questo come inevitabile, o addirittura come una opportunità, ma io credo che sia necessario interrogarsi su cosa sia davvero necessario per il progresso di una società. La letteratura economica è chiara: la produzione di armi impoverisce i territori, non li fa sviluppare.
Restare in Umbria significa lavorare ogni giorno con perseveranza, sapendo che forse non arriveranno mai grandi premi né in denaro né in prestigio. Ma è una scelta che va oltre l’interesse personale: è un gesto d’amore per questa terra. Sogno un’Umbria dove la vita sia così piena di bellezza e opportunità che chi è partito senta il richiamo di tornare. Una terra dove le aziende investano in innovazione e progresso, dove le città tornino ad avere luoghi di incontro e le persone possano riscoprire la gioia di far parte di una comunità vera.
Non è facile, lo so. Ma credo che valga la pena provarci. Anche Francesco non fermò le crociate, e Aldo Capitini non bloccò le guerre. Eppure hanno lasciato un seme. Anche io voglio fare la mia parte. Non per me, ma per chi è costretto ad andarsene, per chi sogna di tornare, per chi non c’è più e per chi vuole continuare a credere che un altro mondo sia possibile.
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“Cronache di chi resta” è un diario per raccontare le storie di chi ha deciso di restare, tornare o arrivare ad abitare quei territori che sono considerati periferici, marginali, senza possibilità di sviluppo e di futuro. Ripartire dal racconto di ciò che già avviene costantemente nelle piccole e grandi rivoluzioni quotidiane di chi già solo “essendoci” fa la differenza, può andare a decostruire il pensiero prevalente e contaminare scelte di possibilità.
Cronache di chi resta vuole raccontare, ma anche approfondire quali sono gli ostacoli affinché un territorio possa immaginare il proprio futuro a partire dalle persone che vogliono abitarlo.
Alcune persone sono alberi secolari,
radicati nel territorio dove sono stati piantati
e destinati a prosperare e crescere lì.
Ognuno di noi può pensare ad una di queste persone
conosciute nella propria vita,
vedere le rughe segnarne i volti come se fossero di corteccia.
Oggi è sempre più difficile pensare di riuscire a radicarsi
e fermarsi in un luogo,
o tornare dove i primi semi erano stati piantati.
Eppure, c’è ancora chi torna, chi arriva, chi resta.
a cura di Maria Chiara Cefaloni
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