Anatomia delle Olimpiadi/4
T come Tania Cagnotto. Anni e anni trascorsi tra tuffi carpiati, rovesciati e con avvitamenti vari. Una carriera agonistica con un palmares che può contare ben 10 podi mondiali e 20 titoli europei. Ma, fino ai Giochi di Rio, per la tuffatrice bolzanina le Olimpiadi (nelle quattro precedenti partecipazioni) avevano riservato solo amaro in bocca. In particolare, quattro anni fa a Londra arrivarono due quarti posti, in entrambi i casi a pochi centesimi dal bronzo. Un risultato davvero difficile da mandare giù. Spesso, però, per vincere qualcosa di davvero importante bisogna prima perdere (e soprattutto saper perdere …). Si cade, ci si rialza e ci si riprova. Un passaggio che nella maggioranza dei casi è quasi obbligatorio. Così Tania a Rio, proprio alla fine di una carriera straordinaria, si è presa la sua rivincita a cinque cerchi. Prima la medaglia d'argento nella prova dei tuffi sincronizzati dal trampolino insieme alla compagna (e amica) Francesca Dallapè, poi anche il bronzo individuale sempre dal trampolino dietro le (quasi) insuperabili cinesi. Riscatto compiuto.
U come Usain Bolt. Diciamola tutta: se l’atletica leggera viene definita la disciplina regina delle Olimpiadi una ragione ci sarà. Il suo fascino è sotto gli occhi di tutti, inutile negarlo. E da anni, il vero e proprio dominatore di questo sport ha un preciso nome e cognome: Usain Bolt. Il trentenne giamaicano è diventato una star assoluta dell’atletica mondiale proprio alle Olimpiadi. Era il 2008, edizione di Pechino, luogo in cui questo concentrato di muscoli e talento si aggiudicò ben tre medaglie d’oro (100, 200 e staffetta 4×100 metri). Da allora sono passati otto anni e Usain nel frattempo ha regalato tante emozioni (e tanti record) ai numerosissimi appassionati di atletica sparsi per il mondo. Bolt, stagione dopo stagione, ha spostato i limiti dell’uomo oltre barriere che solo poco tempo prima sembravano insuperabili. E ha vinto, ha vinto tanto (11, sin qui, i titoli mondiali per lui). Dopo la tripletta a cinque cerchi in Cina, lo stesso risultato è stato poi raggiunto sia a Londra 2012 che a Rio 2016. Nove medaglie d’oro in tutto, come in passato, alle Olimpiadi, erano riusciti a fare solo Carl Lewis e Paavo Nurmi. Straordinario.
V come Vanderlei de Lima. Tra i tanti messaggi che il Brasile ha lanciato al mondo nelle due settimane olimpiche, uno dei più belli è stato probabilmente quello relativo alla scelta dell'ultimo tedoforo che ha avuto l'onore di accendere il tripode durante la cerimonia di apertura dei Giochi di Rio 2016. Sorprendendo un po' tutti (i "favoriti" per questo ruolo erano altri), la scelta alla fine è ricaduta su Vanderlei de Lima, ex maratoneta, non certo una delle icone più conosciute dello sport brasiliano. Potremmo definirlo quasi un atleta "comune", passato alla storia soprattutto per quanto accaduto durante la maratona olimpica disputata ad Atene nel 2004 (quella, tanto per intenderci, vinta dal nostro Stefano Baldini). Vanderlei, infatti, mentre guidava la corsa, a pochi chilometri dal traguardo fu "fermato" da uno sconsiderato pastore irlandese fattosi largo tra il pubblico che assisteva alla gara. Ripartito dopo alcuni secondi che sembrarono interminabili, l'atleta brasiliano riuscì a concludere comunque la gara conquistando la medaglia di bronzo. Lui alla fine festeggiò sorridente sul podio, senza recriminare per l'accaduto. Così, gli organizzatori delle ultime Olimpiadi hanno puntato su di lui per lanciare al mondo un messaggio ben preciso: quello di un Paese che, proprio come accaduto a Vanderlei, sa comunque resistere e riemergere anche dai momenti difficili.
W come Wayde Van Niekerk. Grande sorpresa del 2015 (per lui titolo mondiale e miglior tempo dell'anno), questo ventitreenne atleta sudafricano era dato nel lotto dei favoriti in una delle gare più affascinanti (e più dure) dell'atletica leggera. Parliamo dei 400 metri, il giro di pista, più conosciuto come il "giro della morte". Una gara dove occorrono le caratteristiche proprie di uno sprinter, ma anche la resistenza di uno specialista degli 800 metri. Wayde, entrato nel Guinness dei primati in quanto primo uomo al mondo a correre i 100 metri in meno di 10 secondi, i 200 metri in meno di 20 secondi, e i 400 metri in meno di 44 secondi, si è trovato in finale con il vincitore delle Olimpiadi del 2008, lo statunitense LaShawn Merritt, e con quello delle Olimpiadi del 2012, il grenadino Kirani James. A questo ragazzo che si allena spesso in Italia (per la precisione a Gemona del Friuli) è toccata però in sorte la corsia otto, quella più esterna, non certo la migliore possibile in quanto senza punti di riferimento. Lui non si è fatto scoraggiare, ha corso praticamente "da solo", quasi alla cieca, e ha stabilito un nuovo record del mondo (43"03) in una corsa che rimarrà nella memoria degli appassionati di sport come una delle prestazioni tecnicamente più rilevanti dell'Olimpiade brasiliana.
X come X factor. Phelps e Bolt a parte, è probabilmente lei il personaggio copertina dei Giochi di Rio. Lo avrete capito, stiamo parlando della ginnasta Simone Biles, che ha incantato il pubblico brasiliano e tutto il mondo incollato in questi giorni davanti alla tv. Le sue evoluzioni, al limite della perfezione, la sua "esplosività", hanno consentito alla giovane statunitense di tornare a casa con ben cinque medaglie (quattro d'oro e una di bronzo). Piace a tutti Simone, ai bambini che la vedono gareggiare, e ai più grandi. E molti si sono affezionati a lei ancora di più dopo aver conosciuto la storia di quella che, da molti addetti ai lavori, è già considerata come una delle più grandi ginnaste di tutti i tempi. Adottata a soli tre anni dai nonni materni (la mamma era alcolista e tossicodipendente), e successivamente, sportivamente parlando, dai coniugi Marta e Bela Karolyi (lo scopritore di Nadia Comaneci), questa ragazza di un metro e quarantacinque centimetri di altezza, e di meno di 50 chili di peso, rappresenta un concentrato di tecnica ed energia che gli permettono di eseguire movimenti difficili anche per gli uomini. Come ad esempio il "The Biles", un doppio teso con mezzo avvitamento, che la stessa Biles ha inventato e portato in pedana nella prova del corpo libero. Per noi lei ha … l'X factor!
Y come Yang Sun e Yulia Efimova. «Se guardo al podio dei 200 stile libero mi viene da vomitare»
Z come Zar (o come Zaytsev). Alzi la mano chi, appena un anno fa, avrebbe scommesso un solo euro sulla possibilità di vedere protagonista la nostra nazionale di pallavolo maschile alle Olimpiadi di Rio. Proprio in Brasile, dodici mesi orsono, Ivan Zaytsev (detto lo Zar) e alcuni suoi compagni furono rispediti a casa durante la World League. Ambiente spaccato, allenatore (Mauro Berruto) che fu costretto a lasciare il timone della nazionale, c'era chi temeva addirittura che la nostra squadra, dopo aver centrato cinque semifinali olimpiche consecutive, non riuscisse a qualificarsi per i Giochi a cinque cerchi. Invece, trascinati dal fenomenale spoletino (ma il cognome tradisce l'origine russa dei suoi genitori), i nostri ragazzi a Rio hanno dato spettacolo. Hanno vinto il girone (battendo anche il Brasile), hanno superato piuttosto agevolmente l'Iran nei quarti di finale (in quella partita lo “zar” ha stabilito il record olimpico in battuta con un servizio che ha raggiunto i 127 Km all'ora), e si sono resi protagonisti di una vittoria "epica" in una combattutissima semifinale contro gli Stati Uniti (certamente uno dei momenti più esaltanti per gli appassionati di sport italiani in queste Olimpiadi). Poi, nell’atto conclusivo, i nostri ragazzi si sono dovuti arrendere ai padroni di casa, con cui se la sono giocata quasi alla pari, ma che alla fine hanno prevalso meritatamente. Per alcuni questa medaglia d’argento rappresenta un’occasione mancata (con questa sono tre le finali olimpiche perse dalla nostra rappresentativa maschile di questo sport), ma noi vogliamo dire un “grazie lo stesso” a Zaytsev e ai suoi compagni per le emozioni regalateci durante questi Giochi.