Anatomia delle Olimpiadi/3

Dalla N come Niccolò Campriani alla S come "stelle cadenti". Penultimo appuntamento con la nostra carrellata su alcuni fatti e personaggi che hanno caratterizzato le Olimpiadi di Rio. Terza parte dell’alfabeto olimpico
La ginnasta italiana Vanessa Ferrari

N come Niccolò Campriani. Nei momenti in cui siamo in difficoltà, quando tutto sembra crollarci addosso, possiamo sempre tentare di trovare dentro di noi la forza per reagire. A volte basta poco, magari solo aggrapparci al ricordo di un "pensiero positivo". Niccolò Campriani, azzurro fenomeno del tiro a segno (specialità carabina), a Londra 2012 ha vinto una medaglia d'oro e una d'argento. Chiaro che su di lui, per queste Olimpiadi, i massimi dirigenti del nostro sport riponessero tantissime aspettative. Ed è altrettanto chiaro che mantenere fede alle "pressioni" che ci vengono messe addosso, spesso può essere un macigno troppo grosso da portare sulle spalle. Ancora di più in una specialità difficile come la sua, dove già normalmente nelle fasi decisive della competizione il cuore improvvisamente comincia a battere a mille. Dove il bersaglio, già piccolo di per sé, in quei momenti sembra quasi "impossibile" da centrare. Niccolò, nelle finali disputate a Rio, spesso è stato a un passo dalla sconfitta, ma poi … «mi sono concentrato e ho cercato di aggrapparmi a un "pensiero positivo"». Volete sapere quale è stato questo pensiero? Il nostro campione con la mente è tornato indietro nel tempo, a quando da bambino poteva trascorrere poco tempo con il papà che lavorava molto, ma quando, nonostante ciò, riusciva a ritagliarsi del tempo tutto per loro (fu proprio il padre a portarlo per primo a un poligono di tiro). Così, aggrappato a quel pensiero positivo, Niccolò ha scacciato i "fantasmi", ha sparato al meglio delle sue possibilità e ha conquistato due splendide medaglie d’oro.

 

O come “ori olimpici inediti”. La prima volta non si scorda mai, anche nello sport. Sono diversi i Paesi che a Rio si sono aggiudicati una medaglia d'oro olimpica per la prima volta nella loro storia. C'è riuscito il Kosovo, grazie alla judoka Kelmendi. C'è riuscito il Vietnam, per merito del colonnello Vin Xuan Hoang nel tiro a segno. C'è riuscito Porto Rico, con la vittoria a sorpresa della tennista Monica Puig nel singolare femminile. C'è riuscito il Kuwait, anche se il tiratore Fehaid Al-Deehani ha gareggiato sotto bandiera indipendente per via della squalifica del suo Paese. E ci sono riusciti anche la Giordania, il Tagikistan, Singapore, la Costa d'Avorio, il Bahrain e le Isole Fiji, che sono salite sul gradino più alto del podio nel rugby a sette maschile. Queste vittorie sono state celebrate in modo trionfale dai cittadini di questi Paesi, anche perché, proprio grazie a questi successi, di queste nazioni si è parlato nel resto del mondo, e questo ha rappresentato per loro indubbio motivo di orgoglio.

 

P come Paltrinieri. Sulla sua medaglia d'oro alla vigilia erano pronti a scommettere tutti. E lui, pur sentendo sulle spalle il “fardello” che porta con sé il ruolo di favorito, non ha tradito le attese. Gregorio Paltrinieri, il dominatore dei 1500 metri stile libero, il ragazzo che in questi ultimi anni ha trasformato una gara lunga (e talvolta noiosa) in uno spettacolo avvincente, per salire sul gradino più alto del podio olimpico di Rio 2016 non ha lasciato proprio nulla al caso. Ha macinato chilometri e chilometri in piscina (nell'ultimo anno una media di 90 a settimana). Ha studiato tutti i suoi principali avversari, spesso confrontandosi direttamente con loro. Ha faticato, sudato, e sgobbato agli ordini del tecnico livornese Stefano Morini. Ha condiviso con i suoi compagni di allenamento (tra cui Gabriele Detti, che in questa Olimpiade ha vinto due splendenti medaglie di bronzo), timori e sogni in vista dei Giochi. E alla fine ha vinto, confermandosi come uno dei più forti nuotatori dell'attuale panorama mondiale.   

 

Q come “quarti posti”. «Sempre la stessa storia, e fa male sempre allo stesso modo», ha dichiarato la nostra Vanessa Ferrari subito dopo la finale al corpo libero di ginnastica artistica, conclusa con il quarto posto. Lo stesso piazzamento, purtroppo, ottenuto quattro anni fa ai Giochi di Londra. Il quarto posto nello sport spesso fa male, molto male, come ci ricorda Vanessa. E l'Italia, anche in questa Olimpiade, ha fatto la sua solita incetta di "medaglie di legno". Ha cominciato la nazionale femminile di tiro con l'arco, poi, sempre quarti, si sono classificati uno dopo l'altro anche Federica Pellegrini (nuoto), Petra Zublasing (tiro a segno), doppio e quattro senza pesi leggeri (canottaggio), le squadre di fioretto maschile e sciabola femminile (scherma), la citata Ferrari, Antonella Palmisano (nella marcia) e, nella giornata conclusiva, le nostre "farfalle" della ginnastica ritmica. Dieci quarti posti in tutto (a Londra erano stati otto), che sicuramente fanno male agli atleti che li hanno raggiunti, ma che a freddo vanno invece considerati come dei buoni risultati (non dimentichiamoci mai che nulla è scontato, e che nello sport ci sono anche gli avversari …).

 

R come Rio de Janeiro. Prima dell'inizio delle gare da Rio giungevano notizie poco rassicuranti: l’emergenza sanitaria riguardante il virus Zika, le crescenti preoccupazioni sul fronte della sicurezza e della criminalità, i lavori ancora incompiuti per migliorare la viabilità e per mettere “a regime” il villaggio olimpico. Poi, a gare iniziate, la figuraccia della piscina dei tuffi verde e il triste spettacolo di tante prove disputate davanti a spalti praticamente vuoti. Ma a ben guardare, il bilancio complessivo di questi Giochi è comunque positivo. Tante cose hanno funzionato nella maniera giusta, le gare sono sempre iniziate puntualmente e si sono svolte, nella maggior parte dei casi, in impianti belli ed efficienti. E la gente di Rio, che si è contraddistinta per la consueta allegria contagiosa, ha contribuito a creare quel clima di festa tipico delle Olimpiadi. Una atmosfera “magica”, che conferma la capacità unica dello sport di unire tutti i popoli della terra.

 

S come "stelle cadenti". «La sconfitta più dura della mia vita, quella più difficile da digerire». Chi parla così è Novak Djokovic, non un atleta qualsiasi ma uno dei più forti tennisti di sempre. L'attuale numero uno del mondo, negli ultimi anni quasi "imbattibile", era arrivato a Rio come il grande favorito e cercava di arricchire il suo palmares con l'unico titolo che ancora gli manca, quello olimpico. Invece, clamorosamente, Djokovic è stato subito sconfitto dal “redivivo” argentino Juan Martin Del Potro. Uscita prematuramente dal torneo olimpico femminile anche Serena Williams, la dominatrice del tennis femminile dell'ultimo decennio. A batterla l'ucraina Elina Svitolina, che nei precedenti quattro incontri con la statunitense aveva sempre perso. Il fatto è che le Olimpiadi non ti danno la possibilità di rifarti l'anno successivo, come magari avviene se vieni sconfitto a Wimbledon (tanto per rimanere al tennis), o come avviene più in generale con altri avvenimenti sportivi. Le Olimpiadi vengono solo una volta ogni quattro anni, e anche i grandi favoriti subiscono come tutti gli altri la pressione del possibile "flop". 

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