Anatomia delle Olimpiadi/2

Dalla G come Guendalina Sartori alla M come "mamme olimpiche". Prosegue la nostra carrellata su alcuni fatti e personaggi che hanno caratterizzato le Olimpiadi di Rio. Seconda parte dell’alfabeto olimpico
L'Italia del tiro con l'arco

G come Guendalina Sartori. Avete mai provato il tiro con l'arco? Bisogna tirare una freccia da una certa distanza e avvicinarsi il più possibile al centro del bersaglio, al fatidico dieci! No, non è per niente facile… Alle Olimpiadi le frecce si scagliano da una distanza di 70 metri, eppure per quasi tutti i partecipanti dei Giochi a cinque cerchi il dieci, per quanto difficile, è l'obiettivo di ogni tiro! Di un nove ci si può anche accontentare, mentre già un otto è una mezza delusione. Fare tre? A questi livelli accade una volta su mille, un risultato quasi "impossibile". Eppure, talvolta succede. Nella semifinale della prova a squadre femminile contro la Russia, la nostra nazionale è a un passo dalla vittoria. Guendalina Sartori sta tirando bene, ma sbaglia clamorosamente la sua ultima freccia: tre (per raggiungere la finale sarebbe bastato un sette). «Non dormirò per mesi», ha dichiarato sconvolta l'azzurra a fine gara in preda a una crisi di pianto. Alla fine le nostre rappresentanti hanno perso la semifinale e anche l'incontro valevole per la medaglia di bronzo. Per Guendalina, però, è arrivata la solidarietà dei tecnici e delle compagne di squadra, consapevoli che a uno sportivo può capitare anche questo.

 

H come He Zi. Nelle ultime edizioni olimpiche la Cina ha fatto "la voce grossa", seconda nel medagliere solo dietro il colosso statunitense. Cento medaglie ai Giochi casalinghi di Pechino 2008 (di cui ben 51 d'oro), ottantanove quattro anni fa a Londra. A Rio, un poco a sorpresa, il Paese del Sol Levante è stato superato nel medagliere dalla Gran Bretagna, ha raccolto meno medaglie del previsto ("solo" settanta) e alcuni suoi atleti questa volta si sono distinti per gesti non solo agonistici… La cosa, pare, non sia dispiaciuta più di tanto ai vertici di Pechino, tutto sommato contenti di una Cina che magari vince un po' di meno, ma che appare al mondo con un "volto" più umano. Al termine della prova dei tuffi dal trampolino femminile, ad esempio, chi guardava la gara ha assistito a una scena davvero singolare. He Zi, che si era appena aggiudicata la medaglia d'argento, scesa dal podio ha visto avvicinarsi il fidanzato Qin Kai (altro tuffatore cinese già campione olimpico a Pechino 2008). Kai ha tirato fuori un anello, si è inginocchiato e ha fatto alla sua amata una proposta di matrimonio in mondovisione. Lei ci ha pensato un attimo, ha detto sì, e si è lasciata andare a una "contenuta emozione" che ha commosso non solo lei, ma tutti coloro che hanno assistito alla scena.

 

I come Italia. Alla vigilia delle gare gli obiettivi "minimi" dichiarati dal nostro comitato olimpico erano quelli della conquista di 25 medaglie e della conferma dell'Italia tra le prime dieci potenze dello sport mondiale. Risultato, quest'ultimo, che raggiungiamo ininterrottamente dall'edizione di Atlanta del 1996. Entrambi gli obiettivi sono stati centrati. Per quanto riguarda le medaglie, il nostro bottino finale ne conta 28 (8 d'oro, 12 d'argento e 8 di bronzo), un risultato in linea sia con quello ottenuto a Pechino nel 2008 (in Cina conquistammo 27 podi), sia con quello di Londra 2012 (dove tornammo a casa proprio con 28 medaglie). Nono, invece, il nostro piazzamento finale nel medagliere, risultato ottenuto soprattutto grazie alle grandi prestazioni dei nostri tiratori, i veri protagonisti in chiave azzurra di questi Giochi (tra tiro a segno e tiro a volo abbiamo conquistato quattro medaglie d'oro e tre d'argento!). Buono, come di consueto, il contributo della scherma (un oro e tre argenti), mentre insieme a qualche sorpresa (beach volley) e ad alcune liete conferme (tipo pallavolo, pallanuoto, canottaggio e ciclismo), ci sono state anche diverse delusioni (in particolare ci riferiamo alla boxe, alla vela e, ancora una volta, all'atletica leggera). A tutti gli azzurri, vincenti e non, va comunque un ringraziamento per le emozioni che ci hanno fatto vivere nelle ultime due settimane.

 

J come Judo. Certo, nonostante qualche passo falso non preventivato, la nostra cassaforte di medaglie olimpiche rimane sempre la scherma (con quelle conquistate dai nostri atleti a Rio siamo arrivati a 125 in tutto). È vero, quest'anno tra tiro a segno e tiro a volo abbiamo davvero dimostrato che in questi due sport abbiamo pochi rivali al mondo. Ed è anche vero che, innegabilmente, negli sport acquatici abbiamo fatto benissimo (otto i podi complessivi tra nuoto, tuffi, nuoto di fondo e pallanuoto). I Giochi olimpici appena conclusi, però, hanno dimostrato che lo sport italiano può contare anche su un'altra disciplina sinonimo di garanzia: il judo. Magari non se ne sono accorti in molti, ma gli atleti azzurri di questo sport riescono a salire sul podio a cinque cerchi, consecutivamente, dalle Olimpiadi di Montreal del 1976. In quell'occasione ci riuscì Felice Mariani (bronzo), mentre a Rio hanno vinto una medaglia i giovanissimi Fabio Basile (suo il duecentesimo oro olimpico dello sport italiano) e Odette Giuffrida (argento). Certo, le nazioni leader mondiali di questa disciplina sono altre (pensate ad esempio che il Giappone a Rio ha vinto medaglie in 12 delle 14 prove disputate), ma il judo italiano ha risposto ancora una volta presente!  

 

K come Kosovo. Ai Giochi di Rio 2016 hanno partecipato per la prima volta due Paesi: il Sud Sudan e il Kosovo. Il Sud Sudan, che a luglio ha celebrato il quinto anno d’indipendenza dal Sudan, non è riuscito a vincere medaglie, mentre il Kosovo, repubblica indipendente dalla Serbia dal 2008 (ma Stato ancora non riconosciuto da molti Paesi dell’Onu), ha celebrato la sua prima medaglia a cinque cerchi per merito della judoka Majlinda Kelmendi (che nella finale della sua categoria di peso ha sconfitto proprio la nostra Odette Giuffrida). A Pristina è stata festa grande, mentre in Serbia, a Belgrado, il successo di questa ragazza non è stato visto di buon grado. «Non possiamo ascoltare l’inno del Kosovo né vedere la loro bandiera», ha dichiarato il ministro dello sport serbo (per i serbi il piccolo Paese dei Balcani non ha diritto di esistere in quanto occupante un territorio che è parte della storia della loro nazione). Nonostante ciò, la Kelmendi a fine gara ha voluto fare una dedica simbolica davvero significativa: «Il mio Paese ha due genti, spezzerò idealmente la mia medaglia in due».

 

L come Ledecky. Non è popolare come il suo connazionale Michael Phelps, ma Katie Ledecky rappresenta il presente e il futuro del nuoto mondiale. Alta un metro e ottanta, appena diciannovenne, Katie per disputare un’Olimpiade da assoluta protagonista negli ultimi anni ha incrementato gli allenamenti (sostenendo anche 18 Km di nuoto in un giorno), e ha anche modificato la sua già efficace nuotata (prima respirava da entrambe le parti, adesso lo fa solo a destra). A Rio la ragazza statunitense, com’era nelle previsioni, ha vinto la medaglia d'oro nei 200, 400 e 800 metri stile libero a livello individuale, successi cui vanno aggiunti un altro oro (4×200) e un argento (4×100) nelle prove di staffetta. Ex giocatrice di basket, studentessa modello, questa stacanovista delle piscine cresciuta in un sobborgo di Washington ha rifiutato sponsorizzazioni per più di un milione di dollari pur di mantenere lo status di dilettante che gli permetterà a settembre di iscriversi alla Stanford University. Katie in piscina è un fenomeno, però, quando esce dall’acqua, torna ad essere una persona “normale”, con una grande sensibilità nei confronti di chi è meno fortunato di lei (serve pasti ogni mese alla mensa dei poveri e fa riparare vecchie biciclette da inviare ai Paesi in via di sviluppo).

 

M come mamme olimpiche. Per sapere cosa significhi fare un figlio e allenarsi per una Olimpiade, chiedete informazioni a Diana Bacosi e Chiara Cainero. Le due atlete azzurre di tiro a volo, specialità skeet, ci hanno emozionato nella gara che le ha viste finire entrambe sul podio dei Giochi di Rio (oro per Diana e argento per Chiara). Una doppietta entusiasmante, che ha fatto conoscere al grande pubblico la storia che unisce queste due azzurre. Quella di due mamme che, appena nati i loro figli, avevano lasciato lo sport, ma che poi, poco tempo dopo, non hanno resistito al richiamo della loro grande passione: il tiro a volo. Così, Diana e Chiara hanno ricominciato a sparare, senza tralasciare il loro ruolo di mamme. La Bacosi, che vive a Roma, dopo la conquista dell'oro ha raccontato di come la sua preparazione agonistica vada di pari passo con il ruolo di mamma: sveglia presto per preparare e accompagnare il figlio a scuola, poi via nel traffico della capitale per andare a sparare al poligono di tiro, e ancora in macchina per riprendere il figlio al termine delle lezioni. Tornata a casa, Diana provvede a cucinare e ad aiutare suo figlio a fare i compiti, per poi ripartire nuovamente e recarsi a una seconda sessione di allenamenti. Diana e Chiara. Due atlete, due mamme, normali e al tempo stesso… speciali. Due mamme, "olimpiche". 

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