AMORizzare il mondo. I 100 anni di Arturo Paoli
«Quando entrate a teatro, prima che cominci lo spettacolo c’è una gran confusione – racconta Arturo Paoli – il violino cerca di mettersi in accordo con il pianoforte, il flauto con il violino, e non si sente altro che rumore, poi quando arriva il direttore tutto diventa armonia, canto, bellezza. Così noi dobbiamo diventare armonia partendo dalla discordia seguendo il direttore Gesù: affidarci a Lui, farci prendere per mano, chiedergli consiglio. La vita è bella, siamo noi che la rendiamo brutta, triste, agitata perché siamo dominati da questa radice negativa che c’è in noi e che separa le nostre qualità positive, il pensiero dall’amore; dobbiamo metterli d’accordo, formare armonia e pace tra la ragione e il cuore».
Sono grata ad Arturo Paoli per il modo altissimo e semplice con cui ha parlato della vita e della fede. Un racconto durato un secolo: nato a Lucca il 30 novembre 1912, ordinato sacerdote nel 1940, divenuto subito dopo Piccolo fratello della congregazione religiosa ispirata a Charles de Foucauld, Arturo Paoli ha fatto della sua vita un esempio straordinario di ricerca interiore e di dedizione agli altri.
Una ricerca profondamente segnata dal periodo di noviziato a El Abiodh, al limite del deserto, vissuto in solitudine e distacco dal mondo. «Dio per diversi mesi si è nascosto. Pensavo che insistendo, battendo alla porta, Lui aprisse. E invece quella porta l’apre quando vuole lui. Ed è questo che ho scoperto: non siamo noi che amiamo Dio, ma è Dio che ama noi». Un’esperienza dura e di solitudine che lo spinge a compiere la scelta dei poveri, nel modo più radicale, consapevole che «non potremo mai essere felici vivendo nella nostra solitudine… esiste un solo cammino, quello che ci ha indicato Gesù: è quello di accorgerti nella tua vita, dell’altro che ha bisogno di te, dell’altro che, magari senza parlare, guardandoti, con il suo volto, implora il tuo aiuto».
Questa esperienza lo apre al mondo. Si trasferisce in America Latina dove rimane per quarant’anni, prima in Argentina, in Cile, in Venezuela, in Brasile dedicandosi senza sosta alla causa dei poveri, degli oppressi, delle donne, dei senza voce, entrando spesso in conflitto con le dittature più oppressive e compromesse del continente, a rischio spesso della propria vita.
Sono gli anni in cui comprende che è necessario un profondo percorso di liberazione perché «Gesù è venuto per liberare le relazioni umane e costruire il Regno di Dio. È vero che il progetto della Chiesa che mi sono sentito ripetere tante volte, è `fatti santo’, ma il progetto di Gesù è ben più universale e concreto: ‘portate nel mondo la pace, la giustizia, la fraternità’ che sono la sintesi dell’amore, che è alterità fino al dono di se stessi, di cui ci ha dato l’esempio il Cristo». Per questo «si deve andare tra i poveri come amici, senza nulla, e farsi accogliere. Bisogna invertire la posizione: non sono io, ricco, che vado al povero, ma devo andarci povero, alla pari con lui. È il concetto stesso di missione che bisogna cambiare. Se c’è una disuguaglianza di partenza non si può mai creare una vera amicizia». Un ribaltamento di prospettiva, nessuna asimmetria è possibile nell’amore. Perché l’amore al prossimo è parità e comunione.
Sono grata ad Arturo Paoli per avermi insegnato che l’etica cristiana deve tendere all'umanizzazione progressiva dell'uomo, e quindi in primis deve partire dai diritti degli offesi e degli oppressi.
È solo su questa base che possiamo pensare un nuovo mondo: «Dobbiamo difendere Cristo dal cristianesimo, dalla cultura cristiana. Cristo ha predicato la fraternità, la giustizia. A partire dai poveri, dalle vittime dell’ingiustizia. Non ha fatto mai teoria, non ha mai parlato neanche di Dio, si è semplicemente messo accanto ai poveri. Cristo è essenzialmente liberatore, e liberatore dei poveri». Bisogna amorizzare il mondo, scriveva Paoli, come ha fatto Gesù che è sceso in terra per donare amore.
Sono grata ad Arturo Paoli per il modo in cui ha parlato alle donne e delle donne, per il suo amore di predilezione per le donne oppresse e violate, incontrate lungo il cammino. «Le donne povere delle favelas, sebbene sole e attanagliate dalla miseria, hanno una forza straordinaria, una potenzialità affettiva, di rinuncia, di sacrificio senza pari. L’uomo non potrà mai essere capace di tanto amore. Nelle donne sta l’alterità, che è la forma più alta di altruismo».
Paoli non ha mai avuto paura della relazione con il femminile, ha compreso che la vita contemplativa può trarre alimento nella nostra umanità, nell’incontro con l’altro. «La mia vita è stata un po’ speciale. Io ho vissuto da laico fino a 25 anni, sempre in scuole miste, avevo numerose amicizie tra le ragazze. Queste esperienze sono state molto utili perché rompono quel mistero che si crea intorno alla figura femminile. Io ho sempre cercato l’amicizia con la donna, che per me è necessaria. É diverso un amico uomo da un’amica donna, ti dà quello che l’altro non ti può dare». «La vita contemplativa ti libera completamente dalla moralità per metterti in una sfera diversa. La donna non è più la tentatrice, quella che devi sedurre o conquistare. É la tua amica che quando ti apri ti dà delle ricchezze che tu non hai».
Una postura evangelica che se compresa potrebbe rigenerare molti ambiti delle nostre chiese e portare un contributo allo sviluppo del mondo. Paoli è profeta di una Chiesa e di un mondo che ancora non ci sono, che ha cercato con ostinazione tra gli ultimi, nelle violenze della storia, nella resistenza degli oppressi quello che non è inferno. E gli ha dato luce e voce.