Amori e inganni
Forse alcuni ricordano Gianni Schicchi che Dante ha confinato nell’inferno tra i falsari. L’imbroglione infatti, travestito dal ricco Buoso Donati appena morto, ha dettato un nuovo testamento per favorire i parenti, ingannandoli poi furbescamente.
Puccini ne fa una burla fresca, scherzosa, molto rossiniana e un po’ alla Offenbach, dove l’avidità dei parenti – che si detestano fra loro – fa in modo che l’astuto Gianni travestito faccia i propri interessi, facendo anche sposare sua figlia Lauretta allo spasimante Rinuccio. Tutti contenti alla fine? Solo alcuni, Gianni per primo e i due innamorati, mentre gli altri nel concertato buffo finale masticano amaro. Musica brillante, dove Puccini regala al soprano una accattivante melodia (“O mio babbino caro”), di quelle che lui sa fare adatte a colpire al cuore il pubblico. Ma tutto il breve atto è un viavai di vivacità, di umorismo molto sapido e toscano con una orchestra elettrizzante.
Più boccaccesca e irriverente è L’Heure espagnole di Ravel raccontando di Conception, sposata a Torquemada, orologiaio molto occupato, così lei si destreggia fra i vari amanti, tra cui uno sciocco poeta e un enorme banchiere. Chi sceglierà o come nasconderli se non dentro ad un grande orologio quando il marito torna?
Ravel, che ama la Spagna, si inventa un teatro di marionette, non di esseri umani, che irride con spirito francese tra le rughe della vecchia Toledo addormentata e i sogni amorosi di Conception. La quale troverà l’amante giusto per lei come dicono tutti, alla fine, togliendosi la maschera: «Fra tutti gli amanti ha la meglio uno solo efficiente, un mulattiere». Una risata, come quella conclusiva del Falstaff verdiano, meno amara però, perché Ravel sa che si tratta solo di una pièce teatrale non della vita, in quest’operina surreale e grottesca.
Proprio sul lato grottesco si è divertito il regista e scenografo Ersan Montdag. Se nel Gianni si è inventato un vecchio palazzo con una gran scala e il vecchio sempre nel lettone circondato da personaggi-maschere,come fossimo in un circo, nell’Heure si è spinto sul lato onirico e surreale di una stanza zeppa di immensi orologi contro un cielo in moto perpetuo e con attori-burattini grotteschi e superbarocchi. Così la simpatica parodia delle antiche farse è diventa un divertissement nostalgico – una sorta di Compte Ory rossiniano riveduto e corretto – in salsa novecentesca disincantata.
Michele Mariotti come sempre ha fatto cantare e colorire l’orchestra contando su un buon cast di professionisti di valore, senza essere le solite star, pur coprendo talora le voci con l’orchestra. Il risultato è gradevolissimo, lo spettacolo bello e fantasioso, e molto ben curata la parte e la resa musicale.