Amore vero
Questa estate ho percorso il Cammino di Santiago per la seconda volta. Era da tempo che volevo ripetere l’esultante esperienza di quasi 10 anni fa. Allora feci l’itinerario più transitato e conosciuto: il cammino francese; questa volta, invece, ho preferito rischiare col “cammino primitivo”, percorso dal primo pellegrino conosciuto, il re Alfonso II il Casto, che si mise in marcia da Oviedo, a inizio ’800, quando seppe del ritrovamento del corpo dell’apostolo Santiago nella Galizia.
Attraversare la Asturias occidentale in diagonale verso Lugo, la città galiziana di origine romana più antica, per proseguire poi verso Santiago, è qualcosa di formidabile, anche se impegnativo dal punto di vista fisico. Essendo un percorso poco transitato, permette al pellegrino di procedere per lunghi tratti in semi-solitudine, con la sola compagnia delle montagne, dei fiumi e dei caratteristici horreos (costruzioni sopraelevate per conservare i cereali). Un contesto privilegiato per la preghiera, la riflessione e la comunione amicale con chi ti accompagna.
I pochi abitanti che incontri ti salutano con affetto e ti danno coraggio. Questi rapporti ti rimangono impressi nell’anima. Il cammino ti dona sempre qualcosa di prezioso per l’esistenza. Tante delle vicissitudini che sopravvengono hanno delle analogie formidabili con la vita stessa (la stanchezza, il senso di non farcela, l’errore nei calcoli, gli incidenti inaspettati, la provvidenza nel momento giusto, una capacità di resistenza che non pensavi di avere…), ma il cammino è soprattutto un’esperienza relazionale, dove si ricevono insegnamenti che possono essere decisivi per le scelte di vita da compiere. In effetti, è necessario mettersi in marcia, essere in movimento per capire cose che l’inerzia della staticità nasconde.
Anche questa volta il cammino mi ha parlato e insegnato qualcosa di fondamentale. Un giorno ho visto due ragazzi che portavano su una barella un loro compagno. Li ho incontrati in tappe successive, ma quelli che sostenevano la barella erano altri. Appartenevano alla comunità dell’Arche e venivano dalla Francia. Il ragazzo trasportato non era in grado di camminare fin da piccolo.
Un’altra volta ho visto un ragazzo che portava sulla sua bicicletta, in un improvvisato sedile davanti, quella che sembrava la sua ragazza, paralizzata alle gambe. A Santiago li ho intravisti nella cattedrale, assistendo alla messa serale. All’uscita ho voluto parlarci. Anche loro venivano dalla Francia. Se non l’avessi visto coi miei occhi non ci avrei creduto! Il volto di questi ragazzi era bellissimo e splendente di gioia.
Grazie “Camino” per questo nuovo insegnamento: l’amore vero.