Amleto abita con gli attori detenuti
“La Danimarca è una prigione”, dice Amleto. E l’involucro della messinscena del regista Stefano Tè con all’opera un gruppo di attori detenuti della Casa di Reclusione di Castelfranco Emilia, affiancati da alcuni attori professionisti, è uno spazio scuro, un palazzo austero di scale, pareti e piani neri sfalsati che si intersecano tra loro fino a confondersi.
È, il Castello di Elsinor, il luogo dove si tessono le trame della tragedia shakespeariana, dove le parole che risuonano portano in sé la consapevolezza di una condizione fisica ed esistenziale “altra”. E sono, ancora, diversi passaggi del grande testo di Shakespeare, a dare una particolare temperatura emotiva a questo spettacolo, notevole di visioni e straziante di pensiero, che va al cuore delle questioni con un linguaggio semplice, privo di retorica, dove le parole pronunciate arrivano dirette portando la forza della verità di uomini segnati da storie sbagliate di cui pagano le azioni e le conseguenze.
Emblema delle inquietudini dell’uomo moderno, di angosce, ossessioni e visioni, Amleto lo è ancor di più recitato da questo stuolo di persone che vivono la condizione carceraria, rendendo carne viva le parole. Ha l’accento napoletano il protagonista (del quale non si può riportare il nome, né quello degli altri interpreti), un Amleto malinconico e sarcastico, più che un folle un arrabbiato, che trasforma la rabbia in ironia e scherno, un uomo dal portamento asciutto e volto e occhi segnati d’umanità, la cui giovinezza diventa l’asse portante a cui vincolare i temi e gli interrogativi contenuti nel testo.
Debitamente sfrondata rispetto all’originale, la drammaturgia essenziale di Vittorio Continelli e Stefano Tè, ne fa una messinscena di grande naturalezza, con un suo ritmo interno, serrato e dilatato, intimo e corale, dettato anche dalla musica -vera e propria protagonista- eseguita dal vivo dalla pianista Alessandra Fogliani, che alterna composizioni originali, citazioni ed elaborazioni ispirate dalla musica tardo romantica e barocca, e da quella popolare del tango. La varietà di cromatismi sonori che fluiscono dalle sue note, accompagnando movimenti e atmosfere con tempi anche improvvisati che nascono dall’ascolto circolare e dalla sensibilità del momento, evidenziano la tensione e il climax che avviene in scena. Ed è di struggente bellezza la sequenza della follia di Ofelia, complice una sedia bianca sulla quale la donna siede, si culla, si trascina, cade e rialza ripetutamente, avvolta da una musica ispirata alla tradizione folklorica della cantante norvegese Mari Boine.
Di divertente trovata è, invece, la scena dei becchini con maschere, movenze e gerghi da commedia dell’arte, in arrivo con una pala in mano e trascinando una carriola piena di terra che si sparge al suolo, poi ammutoliti quando giunge Amleto con in braccio il corpo senza vita di Ofelia gocciolante d’acqua e deposta su un mucchietto di terriccio con una rosa. Tutto concentrato sul lavoro degli attori – secondo la lunga pratica del Teatro dei Venti -, anche questo, come il precedente Giulio Cesare shakespeariano, è un Amleto acuto e capace, essenziale, dove non c’è da ricercare una precisa chiave di lettura – tante quelle viste -, né particolari codici espressivi. Basta a sé per la forza, la verità, l’umanità di quei corpi che incarnano personaggi e vicende di una storia più grande dove potersi immergere, ritrovare, e riscoprirsi “altri”.
La compagnia del Teatro dei Venti, impegnata dal 2006 a realizzare progetti di creazione artistica e di professionalizzazione dentro il carcere, oltre ad occasioni di incontro tra carcere e città attraverso il teatro, rappresenta una delle realtà più importanti di teatro-sociale. Questo spettacolo, oggi in coproduzione con Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, segna il primo esperimento di professionalizzazione dei detenuti nell’ambito del progetto europeo AHOS All Hands On Stage, a cui aderiscono per 30 mesi organizzazioni e Istituti penitenziari di 5 paesi (Italia, Germania, Polonia, Romania e Serbia) per coinvolgere i carcerati in processi di inserimento lavorativo nell’ambito dello spettacolo dal vivo.
Questo Amleto, insieme al podcast “Macbeth alla radio” costruito con le voci degli attori e delle attrici degli istituti penitenziari di Modena e Castelfranco, e allo spettacolo “Giulio Cesare” prodotto all’interno della Casa Circondariale di Modena, chiude la trilogia shakespeariana sviluppatasi nell’arco del biennio 2022/23. Dopo il debutto al Teatro delle Passioni di Modena, lo spettacolo è approdato il 17 dicembre ad Arienzo (CE), presso la Chiesa SS. Annunziata, nell’ambito di “Dialoghi di libertà”, il primo Festival del Sud Italia dedicato al Teatro in Carcere. Il 25 gennaio 2024 sarà a Maranello (MO), all’interno della stagione curata da ATER Fondazione, all’Auditorium Enzo Ferrari.