Tra amicizia e politica, un divorzio da ricomporre
Amicizia politica, un ossimoro ( cioè due termini antitetici, ndr) o un’opportunità? In bicicletta lungo i tornanti che dalla Val Brenta portano all’Altipiano di Asiago una parola mi risuona nell’aria “polemos”. E senza pensarci troppo rispondo “stasis”! Si tratta di due termini greci che parlano di conflitto.
Polemos, radice del termine polemica, è il demone greco della guerra. Stasis è invece il nome della guerra civile nella Grecia antica.
Il mio compagno di pedale mi sta raccontando la sua fruizione a teatro di una classica tragedia greca, “I sette contro Tebe”. Mi chiede come mai conosco il tema. Rispondo che mi sto occupando di amicizia politica, al che la sua curiosità accresce.
La salita che stiamo affrontando è un’ottima metafora della difficoltà del tema di cui stiamo parlando. Anzi dei temi, perché amicizia, conflitto, politica sono termini intrecciati.
In un tempo a noi lontano Aristotele – nella sua Etica Nicomachea – affermava che « È la philia a tenere insieme la città», più importante della stessa giustizia; l’amicizia civica rinvigorisce e dà senso alla comunità politica.
Lo stesso filosofo ellenico parlava dei cittadini come “animali politici” termine che in senso moderno si associa invece ad abili rappresentanti delle istituzioni, scaltri nella gestione del potere e del consenso.
Cent’anni fa il giurista tedesco Carl Schmitt fondava invece la politica sul concetto di nemico, rovesciando completamente l’assunto aristotelico e consegnando l’essenza dei rapporti politici come contrapposizione concreta. Concezione oggi prevalente e data per scontata.
Qui ritorna prepotentemente la “stasis”, un termine che deriva dal verbo histemi, “collocarsi, porsi, stare dritti” ovvero la presa di posizione che spacca la cittadinanza in due parti, il prendere partito l’uno contro l’altro, fino ad arrivare al conflitto violento, allo scontro armato, anche alla guerra civile (*).
C’è un aspetto paradossale in questa vicenda della vita in comune: da un lato desideriamo vivere in pace e scegliere nella concordia, dall’altro lato non appena dobbiamo affrontare una posizione avversa rischiamo di scivolare in una ostilità che non consente dialogo, ma rischia invece di bruciare i legami sociali.
La domanda che ci poniamo è se sia possibile una diversa fondazione della politica, se siano possibili “Politiche dell’amicizia” come evoca il titolo del saggio del filosofo francese Jacques Derrida: seguendo le sue orme possiamo rileggere in modo critico il percorso che da Aristotele ci conduce fino a Schmitt, passando per Montaigne, Kant, Nietzsche e Blanchot. Un ricco e articolato viaggio che ci restituisce molte prospettive su un termine tanto usato quanto poco compreso nei suoi molteplici significati, variati e sviluppati lungo le tortuose vicende storiche di pensiero e di prassi.
Il grande equivoco sembra giocarsi proprio sulla definizione di amicizia e da questo far discendere conseguenze gravide sugli altri termini in gioco, che poi ci condizionano nelle nostre relazioni, non solo politiche. Secondo Derrida il problema principale nel pensare e nell’attuare l’amicizia politica è il suo storico ancoraggio all’idea di fraternità, che richiama a famiglia e etnia chiuse. Sembrano mancare un’apertura, una possibilità verso ciò che è altro, diverso da questi legami ristretti. Eppure molte amicizie private hanno proprio questa caratteristica di “altro da noi” e sono quelle più interessanti.
Non sarà che abbiamo privatizzato l’amicizia? È la tesi di Pietro Del Soldà nel suo “Sulle ali degli amici. Una filosofia dell’incontro”: sostiene che vi è stato un momento nella storia greca i cui si è consumato un divorzio fra politica ed amicizia, quando nel passaggio fra l’età classica e quella ellenistica (ca. 300 anni prima di Cristo) è prevalso il motto di Epicuro «vivi nascosto», fuori dagli affari della polis. E noi ereditiamo questa concezione di amicizia.
Derrida e Del Soldà esprimono in modo diverso un desiderio, un’esigenza di far camminare insieme amicizia e politica sullo sfondo dei demoni e delle minacce di “Polemos” e “Stasis”. Una sfida desiderata, un percorso tutto ancora da costruire e sperimentare, oggi più che mai.
Siamo alla fine della nostra salita, sospesi sulle sponde irte dell’altipiano di Asiago, guardando la Val Sugana. Il nostro dialogo volge al termine. Le gocce di sudore richiamano altre gocce che parlano di un’amicizia che “consegna alla morte una goccia di splendore, di verità, di umanità” come scrive De Andrè nella sua canzone “Smisurata preghiera” .
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(*) Dino Piovan, “La guerra maestra violenta”. Polemos e stasis nel pensiero di Tucidide. PHILOSOPHY KITCHEN ANNO 2, N. 3 – 2015. ISSN 2385-1945 WARGAMES. STRATEGIE, RELAZIONI, RAPPRESENTAZIONI