Amici dentro amici fuori

Giacomo è un tipo violento che nel suo reparto sa farsi rispettare. Sono più gli anni passati dentro che fuori. Ora sta a guardarmi in silenzio, come chi ha voglia di parlare ma non sa da dove cominciare. Per avviare il discorso, gli chiedo come mai abbia ancora tanto da scontare. E lui: A dire il vero, ne ho combinate di tutti i colori, e il carcere me lo merito tutto. Vengo a sapere che è andato via da casa a quattordici anni, dopo l’ultimo litigio con un padre troppo severo. Dormivo sotto i ponti, frequentavo ladri, spacciatori, prostitute. Per sopravvivere rubavo e dovevo assolutamente essere il più forte… A diciassette anni ho conosciuto mia moglie e abbiamo avuto due figli. Quando ero in carcere lei, col bello e il cattivo tempo, veniva a fare i colloqui là dov’ero – sì perché ho girato un bel po’ di case di pena italiane…. Dopo altri particolari squallidi di una vita costellata di errori e di violenze, Giacomo conclude: Ma con i figli voglio comportarmi diversamente da come ha fatto mio padre con me. Ora mi guarda aspettandosi che io dica qualcosa. Posso solo ringraziarti per la tua sincerità: io non sono vero come lo sei tu. A questo punto a Giacomo il duro vengono gli occhi lucidi. Per nascondere la commozione cambia discorso: Mi faresti il favore di rimediarmi un paio di magliette e un pantaloncino corto? . Certo che posso; anzi mi offro di portare ai suoi anche un po’ di viveri. E lui: Magari, mia moglie tira avanti con difficoltà!. Quando ho cominciato a fare le mie visite a Rebibbia mi ripromettevo di dare amicizia, conforto, sostegno morale e qualche piccolo aiuto materiale. Invece ero io ad andarmene via con qualcosa in più. So soltanto che ogni volta che guardo ad un detenuto in quanto creatura di Dio, riesco a leggere chiaramente nel percorso che lo ha portato a sbagliare. Ognuno di loro mi apre un abisso di dolore, ed entrare in questo mondo è per me ogni volta una sfida: lo stesso vuoto d’amore che ha prodotto dei danni può essere colmato soltanto da un amore gratuito. Bastano gesti anche piccoli di attenzione, che però suscitano in cambio la loro solidarietà: una sigaretta, qualche dolce o capo di vestiario ricevuti dalle famiglie da condividere con un compagno di cella sprovvisto. Questo modo di fare scioglie riserve e abbatte barriere, rendendo il carcere quello che dovrebbe essere: una tappa dell’esistenza utile per riprendere dal verso giusto i fili della vita. Sembra un paradosso, eppure per uscire dalle proprie crisi e riassaporare la gioia bisogna prendersi a cuore i problemi degli altri. È il consiglio che io do a questa gente per venir fuori dal vicolo cieco in cui si è cacciata. Non di rado questa ritrovata serenità si espande nelle famiglie stesse dei detenuti, e si mantiene anche una volta scontata la pena. In proposito, mi viene in mente Luigi. Da sei anni a Rebibbia, a sentir lui è stato, assieme ad altri, l’ideatore del Totonero. Ci son passati tra le mani – racconta – diversi miliardi, però i soldi guadagnati senza sudore li abbiamo spesi malamente, in una vita dissoluta. Da quando sono finito nelle mani della giustizia, la maggior parte del tempo l’ho spesa a leggere libri d’ogni tipo, anche quelli che trattano di religione o di filosofie orientali. Tante volte – specie dopo certi colloqui con la mia convivente e le nostre due bambine – mi sono detto: Luigi, fai schifo: quale immagine lasci di te a queste innocenti? Non so come farò, però voglio cambiare, voglio farlo per loro. Poi ho sentito parlare di te come di uno che ispira fiducia e t’ho chiesto un colloquio… . Luigi, uno alla ricerca. Da quando s’è sentito oggetto di un interesse gratuito da parte mia, è scattata tra noi una amicizia estesasi anche alla famiglia. È il caso anche di Gianni, che sua moglie Elena voleva lasciare, nonostante il loro bellissimo bambino. Ci volevamo tanto bene, ma forse lei non ha resistito alla mia lontananza e si sarà innamorata di un altro. Difatti negli ultimi colloqui la sentivo stranamente fredda. Alfonso, ti prego, telefonale, fa’ qualcosa. Cosa vuoi che le dica? Non sono esperto in queste faccende…. E lui a insistere: Ti prego, fa’ qualcosa. Quella frase di Gianni non mi si toglie dalla mente. Ho il numero di telefono di Elena, però esito a chiamarla: da dove iniziare? Finalmente mi decido: Pronto? Sono un volontario che va a trovare i detenuti a Rebibbia. Suo marito mi incarica di dirle che le vuole molto, ma molto bene. La risposta è scostante: Le ha detto anche che sto per andarmene con il bambino? Sono stufa, sono ancora giovane e voglio rifarmi una vita. Per mezz’ora si sfoga enumerando tutti i suoi guai con Gianni. Signora – mi azzardo a dirle -, in questo momento suo marito ha più che mai bisogno di lei, e vuole abbandonarlo… Secondo me lei sta sbagliando; ci rifletta ancora un po’ su. Altrimenti cosa dirà fra qualche anno a suo figlio?. Giampiero va agli arresti domiciliari prima del tempo. Me lo annuncia lui stesso al telefono e io ne approfitto per chiedergli di sua moglie. Sai – risponde cupo -, viviamo separati in casa, sta aspettando il momento buono per andarsene. Per un estremo tentativo di riconciliazione, qualche giorno dopo vado a trovarli carico di regali. Mi accoglie stavolta una Elena sorridente: Ho riflettuto molto alle sue parole…. Per più di due ore ascolto entrambi. Giorni dopo mi telefona Gianni esultante: Alfonso, è avvenuto un miracolo: mia moglie ha deciso di rimanere. Grazie, grazie ancora!. Pure Pablo della Colombia aveva problemi con la convivente: durante l’ultimo colloquio, non si erano capiti, e si erano separati in malo modo. Gli ho consigliato, alla prima occasione, di presentarsi a lei con un bel mazzo di fiori. Ho ricevuto un permesso poco prima di Pasqua – racconta Pablo -, era tardi e ho fatto appena in tempo a trovare un fioraio aperto: pensa, era la prima volta che compravo dei fiori per una donna! Quando lei li ha visti mi è saltata al collo: da come avevamo litigato, pensava che non sarei più tornato da lei. È stata la Pasqua più bella! Più riesco a stabilire con i detenuti rapporti autentici, più è difficile che loro tradiscano l’amicizia così costruita e tornino a delinquere. Se invece rimangono soli in balia di loro stessi, allora è più probabile che ricadano. Giorgio, ad esempio, dopo l’esperienza del carcere, si sta rifacendo una vita. Ma un giorno mi telefona fuori di sé: Il mio datore di lavoro – spiega – ha deciso di licenziarmi, ma siccome non vuole prendere l’iniziativa lui per non dover pagare i contributi… cerca di esasperarmi maltrattandomi in continuazione. Non ne posso proprio più. Alfonso, aiutami, altrimenti gli spacco la faccia – e sai che ne sono capace! – a costo di finire di nuovo dentro. La sera stessa vado a trovarlo portando qualcosa da mangiare più una bellissima pianta fiorita per sua moglie. Per ore sto ad ascoltare i loro problemi, fermandomi anche a cena; intanto mi mostrano le foto di un recente viaggio a Venezia. Nell’aria più distesa, è più facile individuare una strategia per far ragionare il datore di lavoro. Si è fatto proprio tardi e prima di andare a letto passerà ancora più di un’ora. Sono stanco, stanchissimo, ma contento. UN MESSAGGIO IN BOTTIGLIA È stato una presenza amica per i carcerati della casa circondariale di Bellizzi Irpino (Avellino) in qualità di cappellano penitenziario. Da questa esperienza per molti versi sconvolgente è nato un testo originale, che già dal titolo lascia intuire un confronto tra la sofferenza del Calvario e quella di chi languisce in una cella. Imputato Gesù di Nazaret – spiega l’autore fra’ Giovanni Crisci, un religioso cappuccino originario di Arienzo (nella foto) – non ha pretese letterarie, ma vuol essere quasi un compagno di viaggio per i miei fratelli del mondo carcerario. Il libro non intende affrontare i delicati problemi legati al pianeta carcere, ma è il culmine di un processo socio-educativo- religioso da me intrapreso per dare conforto, aiuti morali e mezzi culturali a quelli di dentro. Ma la mia speranza è che giovi anche a quelli di fuori, specialmente ai giovani, perché imbocchino la strada della legalità e non abbiano a fare esperienza del carcere neanche per una settimana. Non per niente, oltre ad una sostanziosa catechesi per i cristiani praticanti e no e a temi di interesse comuni quali amicizia, matrimonio ecc., questa pubblicazione tratta anche di problemi pesanti (vivo in Campania!) quali disoccupazione, droga, alcol, fondamentalismo, camorra, violenza giovanile… Ma non mancano aneddoti, racconti, barzellette, perché chi sfoglia questo testo trovi anche motivi di distensione. È un messaggio di speranza non solo per chi vive in carcere, un po’ come uno di quelli in bottiglia che si affidano alle correnti senza sapere chi lo troverà né quale effetto farà. Info: frgiovannicrisci@libero.it

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