Amici, anzi fratelli
Non passa giorno senza che giornali e telegiornali manchino di sottolineare le asprezze di una convivenza giudicata impossibile: quella tra l’islam e la cultura occidentale. La radicalizzazione del conflitto col terrorismo porta tanti, da una parte e dall’altra, a credere che ormai si stia prospettando uno scontro ineluttabile tra civiltà. Fa perciò un certo effetto vedere riuniti 220 musulmani convinti e praticanti, provenienti da 25 nazioni di quattro continenti, che si riconoscono “amici del Movimento dei focolari”. Non solo, ma ne considerano la fondatrice, Chiara Lubich, loro sorella e leader, ma per alcuni addirittura madre. È successo all’inizio di novembre, a Castelgandolfo, sui colli romani. L’incontro era alla quinta edizione; come a dire che è un rapporto che ha già radici profonde. “Ma è ogni volta un’emozione nuova trovarsi insieme qui”. Guardo il badge appuntato sul taschino della giacca di un africano che parla perfettamente l’italiano. Provocatoriamente c’è scritto: “Cherif Diop. Città: Bergamo. Nazione: Senegal”. “Vengo dall’Africa più nera – mi dice -, ma da dodici anni sono in Italia, con moglie e tre figli. Lavoro in fabbrica. È la seconda volta che vengo a questo incontro. È bellissimo per noi avere questo spazio dove poterci scambiare idee e fatti, in una atmosfera d’accoglienza e unità che solo qui si trova”. Sono un centinaio abbondante i musulmani provenienti dalle varie nazioni d’Europa, 37 dal Medio Oriente, 16 dall’Asia e 63 dagli Usa. Negli States è ancora viva l’emozione ed il messaggio dell’incontro con Chiara nella moschea di Harlem che fu di Malcolm X. Il leader dell’American Society of Muslims, W. D. Mohammed (che si dichiara esplicitamente “seguace” della Lubich) non ha potuto venire ma ha mandato i suoi, guidati dall’imam Pasha, oltre a farsi presente con un caldo messaggio. “Il tema di questo incontro – spiega Paul Lemarié, membro del team organizzatore – è “L’amore al prossimo”, un filo d’oro capace di legare tutte le culture e le fedi. Chiara Lubich l’ha messo bene in luce nel suo discorso introduttivo, lanciando quasi una sfida agli imam e agli studiosi presenti: cerchiamo insieme, nella trama del nostro presente così travagliato, il filo d’oro capace di avviarci all’unità. Le caratteristiche di questo meeting mi sembrano soprattutto due: l’alto livello degli interventi dei relatori invitati e la ricchezza dello scambio spontaneo d’esperienze concrete: in esse è già visibile questa vita insieme, e già si intravede uno spazio di cammino comune. Oltre al calore e alla gioia contagiosa che fa da sfondo a questi giorni così densi di rapporti”. In effetti, quando l’ultimo giorno Chiara è tornata per un momento di dialogo coi congressisti (molti infatti le avevano inviato domande), è stata accolta da una sala “al calor bianco”. Nelle sue risposte, ha accennato a scenari di future sinergie che hanno dato respiro ed entusiasmo a tutti. “Le religioni – ha detto dal palco R., musulmana giordana – non possono mai essere causa di dispersione tra le persone, non possono seminare odio. Guai se fosse così! Ma le religioni hanno bisogno di persone che vivono la propria fede e si aiutano a glorificare Dio su questa terra. E se qualcuno mi dicesse che ciò è impossibile, gli direi subito: vieni e vedi come si vive qui. Vieni e vedrai come vive il cristiano accanto al musulmano, senza divisione, nella fraternità, come se tutti fossero una cosa sola”.Da sottolineare l’esperienza di amicizia e di unità che questi amici musulmani hanno fatto tra di loro. Perché un conto è seguire l’islam a New York, e un conto a Manila o ad Algeri. Oltre alla ricchezza, quindi, dello scambio islamo-cristiano, c’era anche questa forte e sorprendente esperienza di comunione tra musulmani. Per molti una sorpresa. K. e Y., una giovane coppia algerina: “È vero, è stato sorprendente trovarsi da paesi tanto diversi, dove forse si vive la nostra fede in modo differente. Soprattutto ritrovarsi in questo clima di fraternità che ci arricchisce tutti. Perché, anche se ci sono fra noi musulmani delle piccole diversità, questo spirito non le mette in rilievo. Qui si capisce che quello che conta di più tra di noi musulmani è l’unità. Le diversità, che magari altrove ci fanno litigare, qui sfumano nell’amore e nel rispetto reciproco. Qui ognuno è nell’atteggiamento di essere dono uno per l’altro”. DALL’INTERVENTO DI CHIARA LUBICH UNA SOLA FAMIGLIA “Occorre che il mondo religioso stesso avverta la necessità di far prevalere il Bene sul male, il bene con la B maiuscola Come? Con la preghiera, anzitutto. Ed ecco la riunione ad Assisi il 24 gennaio scorso, dove responsabili di tutte le religioni hanno pregato per questo scopo; preghiera che dobbiamo continuare. Ma, oltre la preghiera, perché prevalga il Bene sul Male, occorre anche uno sforzo comune per creare su tutto il pianeta quella fraternità universale in Dio alla cui realizzazione l’umanità è chiamata. Fraternità che, sola, può esser l’anima, la molla per quella più giusta condivisione dei beni fra i popoli e gli stati, la cui mancanza costituisce la causa più profonda del terrorismo. “Ora, l’amore reciproco riguarda proprio l’atteggiamento che siamo invitati a prendere per innescare tra tutti la fraternità, quella vera. Si tratta dell’amore al prossimo, quell’amore che si riscontra nei più vari ambiti religiosi e culturali sotto forma anche di misericordia, di benevolenza, di compassione, di solidarietà… Amore del prossimo che, per noi cristiani, non è semplicemente un sentimento umano, ma, arricchito di una scintilla divina, è la carità, l’agape: amore di origine soprannaturale. “Anche la vostra religione sottolinea molto l’amore. Già abbiamo in comune la cosiddetta “regola d’oro”, presente in quasi tutte le religioni, che ci permette d’amarci fra noi. Nel vangelo si dice: “Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te”; e nella vostra tradizione musulmana: “Nessuno di voi è vero credente se non desidera per suo fratello ciò che desidera per sé stesso”. C’è molto da sperare quindi per la “fratellanza universale”, che vogliamo insieme costruire, e far così dell’umanità una sola grande famiglia”. IL DIALOGO Turchia – Bimbi autistici “L’associazione Idi è stata costituita nel 1987 sotto la mia presidenza e con l’associarsi di un grande gruppo di persone anche del Movimento dei focolari che credono all’amore e alla pazienza quali virtù importanti. Volendo vivere concretamente questi ideali, abbiamo chiesto alle autorità cosa era più necessario per il nostro popolo. Ci è stato detto che in Turchia non c’erano centri per il recupero dei bambini autistici.Abbiamo accolto questa indicazione e abbiamo cominciato a realizzarla. Ogni week-end ci trovavamo insieme, felici come se andassimo a fare un picnic, a lavorare per costruire il centro. Un giorno un operaio ci ha detto: “Oggi non voglio la mia paga, la dono anch’io per questa iniziativa”. Questo ci ha fatto venire le lacrime agli occhi. “Abbiamo conosciuto anche alcuni membri della Caritas internazionale.Abbiamo visto che non eravamo da soli. Sia con i focolarini che con la Caritas condividiamo beni materiali e spirituali. E questo ci dà la forza per mantenere le promesse fatte a Dio. Infatti, finito di costruire il centro, tanti ci hanno suggerito di fare un college, che ci avrebbe permesso di guadagnare tanti soldi. Abbiamo detto di no, perché il nostro impegno era dedicato ai bambini autistici. “Oggi vediamo quanto la nostra decisione sia stata giusta: 42 educatori, 58 bambini autistici, belli e con buoni progressi Gli insegnanti si donano con grande amore e pazienza. Sono passati due anni e già si vedono i primi risultati: otto bambini sono in grado di essere reinseriti nella scuola elementare. I semi dell’amore che abbiamo seminato cominciano a dare frutti”. Sabahat Akhiray Olanda – Nel campo profughi in Olanda e ho fatto la richiesta di asilo. Sono sposato con Z. e abbiamo due figli. “In Olanda ci sentivamo completamente soli. Tutto era diverso: la lingua, la cultura, la società. Per quasi tre anni abbiamo abitato in una piccola stanza in un campo profughi fatto da container in un quartiere industriale. Ogni tanto andavo in città per cercare amici. Invano. Accanto al mercato c’era una chiesa. Era Natale. Sono entrato e ho incontrato una famiglia che mi ha guardato. Ora so che ero guidato da Dio.Attraverso di lei abbiamo conosciuto i Focolari. Da quel momento non ci siamo più sentiti soli. “Una cosa che abbiamo imparato dai focolarini è l’amore. Nel centro profughi era tanto difficile. C’è tanta miseria. Ma ho imparato ad amare, nonostante le ferite interiori e i problemi psichici. Andavamo ogni due settimane da uno psichiatra, specializzato per i traumi da guerra. Però, da quando siamo entrati nella comunità del movimento, pian piano abbiamo smesso. Quando medito le parole di Chiara mi sento felice e dimentico tutto. Se tu le vivi, questo ha un effetto enorme sulla gente che ti circonda. Per me é il nucleo delle religioni. Dato che sono scrittore, qualcuno mi aveva donato una macchina da scrivere elettronica. Un giorno nel campo profughi ho conosciuto un uomo solo, che in patria faceva il giornalista. Ho dato a lui questa macchina. Dopo una settimana un amico, non sapendo che l’avevo regalata, mi ha portato un computer. E un altro mi è arrivato dalla direzione del centro profughi, per un lavoro che facevo per i bambini. Se diamo l’amore, lui ritorna tante volte. “Adesso abbiamo un permesso di soggiorno e viviamo in una casa normale “. G. e Z. Vengo dall’Afghanistan, dove la popolazione sta vivendo una situazione ancora difficile. Di professione ero scrittore e traduttore. Nel 1998 sono arrivato