Amianto, procede la ricerca verso nuove cure
«Un tassello in più sul puzzle». A definire così l’ultimo passo compiuto nella ricerca sulle patologie asbesto correlate – presentato lo scorso 27 aprile a Monfalcone (Gorizia), alla vigilia della Giornata mondiale per le Vittime dell’Amianto – è la dottoressa Violetta Borelli, ricercatrice del Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università di Trieste e rappresentante della locale Associazione Esposti Amianto. Il suo lavoro di ricerca, iniziato tre anni fa grazie al sostegno della Lega Italiana per la Lotta ai Tumori e proseguito grazie al sostegno del Comune di Monfalcone, offre ad oggi i primi risultati che, ci tiene a sottolineare Borelli, «sono relativi ad un percorso di ricerca di base, quindi senza nessuna certezza sul fronte diagnostico e prognostico».
Il cammino verso una possibile cura delle malattie asbesto correlate è, infatti, ancora lungo: «È bene non dare false speranze a chi sta facendo i conti con queste patologie. Il nostro è solo un passo in avanti, reso possibile anche grazie ad altri studi precedenti che noi abbiamo approfondito. Nessuno fa niente da solo e non ci sono lavori meno importanti di altri».
Questo “tassello in più” nella ricerca porta il nome di una proteina: l’efestina. E, ancora più precisamente, di una sua “cugina” con una leggera mutazione. «Con il nostro lavoro volevamo individuare un legame tra le patologie amianto correlate e la predisposizione genetica delle persone ad ammalarsi» continua Borelli. «All’inizio ci siamo concentrati sui geni che interessano l’omeostasi del ferro nel mesotelioma pleurico per poi spostare la nostra attenzione sul carcinoma polmonare. Già sapevamo da altri studi che un eccesso di ferro nei polmoni, sommato all’ossigeno, produce radicali liberi che creano un ambiente favorevole all’insorgenza dei tumori. Noi, però, abbiamo notato che una variante dell’efestina, proteina responsabile dell’assorbimento del ferro a livello intestinale, risultava più espressa dalle persone esposte all’amianto che non si erano ammalate».
La presenza di placche pleuriche, infatti, è un sicuro indice di esposizione alle fibre di amianto, ma questa evidenza non equivale necessariamente allo sviluppo di patologie tumorali. «Abbiamo poi dimostrato la presenza dell’efestina anche a livello polmonare e come una sua maggiore espressione si correli ad una prognosi migliore per il carcinoma polmonare. Cosa che intendiamo analizzare anche sul mesotelioma. Il passo successivo? Riuscire a riprodurre l’efestina mutata in provetta con l’obiettivo di comprendere il meccanismo attraverso il quale questa variante possa proteggere dall’insorgenza di neoplasia asbesto correlata e poter un giorno riprodurre questa protezione anche nelle persone che non ne sono geneticamente provviste. Le diagnosi precoci di mesotelioma pleurico sono molto difficili e, a diagnosi avvenuta, l’aspettativa di sopravvivenza è ancora scarsa, anche se è leggermente aumentata negli ultimi anni, grazie a nuovi approcci terapeutici come la radioterapia».
Ma perché tanto interesse proprio a Monfalcone? La Città dei Cantieri – nel nome già un’indicazione – è tra le zone a più alta incidenza di casi di malattie professionali collegate all’amianto rispetto alla media nazionale. Non c’è famiglia che non sia toccata da questo dramma. E, spesso, la paura della diagnosi, vissuta come una condanna a morte, tiene lontani gli ex-esposti dai controlli sanitari che sarebbero, invece, fondamentali. Qui, fino al 1992, anno in cui il materiale è stato bandito nel nostro Paese, c’è stato un massiccio impiego delle fibre di amianto, nelle sue varie forme, per la coibentazione delle navi in costruzione. E il picco dei malati – esiste una lunga latenza nel manifestarsi della malattia che in alcuni casi ha raggiunto anche i cinquant’anni dall’ultima esposizione – non è stato ancora raggiunto.
Proprio qui ha sede il Centro Regionale Unico Amianto (Crua), diretto dal dottor Paolo Barbina, che ci offre alcuni dati: «L’attività del Crua è continuamente aumentata dal 2016 ad oggi – ci spiega – . Dai 516 ingressi richiesti nel 2016 siamo arrivati agli oltre 700 del 2020. Paradossalmente, proprio la paura del Covid ha fatto sì che, nell’ultimo anno, arrivassero a noi molte più persone esposte che non si erano mai controllate. E a questi numeri vanno aggiunti i casi di malattie amianto correlate comunicati solo dopo il decesso». Il dato più interessante riguarda le patologie tumorali: «A fronte di un aumento dei pazienti visitati, abbiamo notato, negli ultimi tre anni, una diminuzione delle neoplasie che dal 12,2 percento del 2017 sono arrivate all’8,4 del 2020. L’incidenza dei mesoteliomi, invece, è passata dal 52,4 percento del 2015 al 26 percento del 2020. Restano fondamentali le attività di prevenzione che, però, in quest’anno si sono tutte concentrate sull’emergenza Covid».
Questo articolo è stato scritto in occasione della Giornata nazionale dell’informazione costruttiva 2021 #GNIC2021