America oggi: Horizon e The Bikeriders
Come sta l’America? Non troppo bene, si direbbe. Il cinema naturalmente lo vede, lo pensa e lo racconta. Raccontare storie del passato serve, se si usano per commentare il presente.
Ed infatti Horizon – An American Saga è il West secondo Kevin Costner − quello di Balla coi lupi – che dice con le sue due puntate il senso del mito, dell’epos, della conquista e dell’avventura tipici del sogno americano. Ma Costner non è John Ford, non è così trionfalmente ottimista. Racconta per larghe sequenze una umanità sognatrice ma pure violenta. Ci sono i cacciatori di taglie e di oro, i delinquenti e i fuorilegge, le famiglie unite pronte a difendersi col fucile già da ragazzi. C’è il senso del coraggio, la fede, la morte, le stragi, i soldati in divisa blu, la voglia di fondare città. Ci sono paesaggi rocciosi infinitamente belli, canyon, deserti, nevicate, e c’è Horizon, il nome dell’insediamento nella valle del fiume San Pedro, terra degli Apache.
Ed eccoli gli “indiani”, forti, decisi a difendere la loro terra, anch’essi violenti. Stupendo il colloquio tra un giovane guerriero e il vecchio padre. Il giovane vuole lottare, il padre lo lascia libero ma gli assicura: questi stranieri verranno a centinaia, si prenderanno la terra e loro, gli “indiani”, non la possederanno più. Come è successo e succede. C’è una malinconia nel rievocare questi anni leggendari e nel rileggere una età mitica, il sogno americano, realizzato tra speranza e violenza. Oggi la speranza sembra diminuita, ma non la violenza populista e la voglia di prendersi il potere con ogni mezzo. Oggi ci sono sognatori e fuorilegge come nel West.
Costner racconta varie storie che si susseguono come in un ciclo affrescato e lo fa con calma, esattezza, personaggi indovinati che esprimono realtà collegate: è un film di vita, soprattutto. Il sogno americano resiste ancora?
Viene da chiederselo, dopo il film di Costner − quattro puntate, la seconda parte esce il 15 agosto − vedendo The Bikerides, di Jeff Nichols. Nei tumultuosi anni Sessanta, Kathy dolce e ingenua incontra Benny che fa parte di una squadra di motociclisti. È una banda in realtà che, negli anni in cui l’America è sconvolta da tragedie, attentati ai Kennedy e la guerra in Vietnam, esprime una gioventù disillusa e inquieta, senza speranza: una sottocultura ben presente anche oggi e che trova in un leader populista una sua voce aggressiva. Il capobanda di Benny è un padre per lui, possessivo e forte e il ragazzo lo segue, fino ad un certo punto, come lo seguono molti altri in una spirale individualistica violenta.
Se ne libererà del tutto Benny? È la domanda che il regista pone alla società americana di oggi. Vedere questi film fa bene. Girati benissimo, splendidamente interpretati, e per nulla superficiali.