America Latina: la politica e gli “idioti”
Per l’America Latina, quello appena iniziato oltre a un anno di sforzi per controllare la pandemia sarà anche un anno elettorale, visto il calendario di appuntamenti con le urne, di vari Paesi. Sarà dunque impossibile evadere le questioni che il Covid-19 ha messo al centro dei dibattiti politici. Sebbene la regione raccolga l’8% della popolazione mondiale, il virus vi ha finora mietuto il 30% delle vittime mortali ed il 20% dei contagi totali. Dunque, quali strategie seguire, quali politiche applicare in materia sanitaria, le campagne di vaccinazione saranno certo temi centrali, ma non l’unico: la recessione ha colpito fortemente queste economie, con vari milioni di disoccupati in più, cadute del pil che vanno dall’8,1% in media, al doppio in alcuni casi
Il 7 febbraio ci saranno le presidenziali in Ecuador; l’11 aprile sarà la volta del Perù, dove si spera di uscire dall’attuale stallo della governabilità causato dalla elevata frammentazione in parlamento; Messico e Argentina realizzeranno le elezioni di mezzo termine, che potranno o no confermare le attuali gestioni, alquanto deludenti; in Cile da aprile in poi si susseguiranno varie elezioni fino alle presidenziali di novembre; nello stesso mese, anche Honduras e Nicaragua celebreranno le elezioni.
Tre i grandi pericoli per la politica, in America Latina come altrove.
Il primo è quello del populismo facile. La politica suppone scelte anche difficili, se non impopolari. Credere di risolvere tutto nel breve termine è una contraddizione rispetto alla politica con la P maiuscola, che è sempre di lungo termine. La programmazione è forse uno dei grandi deficit politici della regione, dove trionfa troppo spesso l’improvvisazione. Nessuna politica sanitaria, edilizia, educativa, di sicurezza, di ripresa economica… sarà mai di breve termine.
L’altro grande nemico è la politica in mano agli “idioti”. Niente paura, non ho intenzione di tradire lo stile e lo spirito di Città Nuova ricorrendo all’insulto. Nella polis greca, quando la politica era incapace di risolvere una questione, si ricorreva agli idiótes, ossia a coloro che erano fuori dalla politica dei polítes, per vedere se dal di fuori era possibile trovare il modo di superare uno stallo. Oggi li chiameremmo outsider, figure come l’argentino Macri, il brasiliano Bolsonaro o il peruviano Kuczynski, che in un primo momento sembravano poter rispondere alle problematiche locali con un discorso semplice e accessibile, vicino al disagio patito da tanti. Il problema è che tali figure, non avendo conoscenze in merito a come risolvere quel disagio e non avendo dimestichezza con la paziente costruzione politica nelle istituzioni, hanno preso scorciatoie pragmatiche che si sono rivelate insufficienti a risolvere il problema. Tra queste scorciatoie appare spesso l’idea della politica intesa solo come somma di poteri, meglio se pieni. Hanno creduto che decidere fosse sufficiente per risolvere annose questioni, ignorando che nel mondo globalizzato è necessario tener conto della complessità dei problemi.
E qui è apparso il terzo pericolo dal duplice aspetto, quello dei social, che oggi significano un potere enorme da parte di chi riesce a gestirne l’incidenza politica convogliando milioni di elettori. Alcuni leaders hanno raggiunto il potere con campagne elettorali che hanno sorvolato radio, tv e giornali, basate solo sui social, ad esempio Bolsonaro. Ma all’interno di questa galassia il valore della parola è stato grandemente sminuito. Che si dica qualcosa è molto più importante di cosa si dice, potendo anzi affermare tutto ed il suo esatto contrario, e perfino negare la realtà dei fatti. Con oltre 200.000 morti, Bolsonaro continua ad affermare che la campagna di vaccinazione anti-Covid19 “non mi interessa”. Come dibattere seriamente in assenza di elementari principi, come quello di non contraddizione o quello di non negare la realtà dei fatti?
Appare allora la grande sfida per l’America Latina – e non solo –, quella dell’arte dei progetti politici che affrontano i grandi problemi del bene comune. Dunque quella delle persone e dei fatti, più che la politica degli slogan facili.