Ambasciatori di speranza!
Chi avrebbe creduto a Fra Hans? Quando, in modo convinto, aveva annunciato che il Papa sarebbe venuto alla Fazenda da Esperança, molti avevano dubitato e l’avevano considerato un sognatore. Persino la maggioranza dei suoi più stretti collaboratori. Con tanti luoghi importanti da visitare, perché Benedetto XVI avrebbe dovuto venire proprio dai drogati?
La fede e la determinazione di Fra Hans hanno davvero avuto ragione. Per un anno intero i giovani di tutte le Fazendas hanno pregato per questa intenzione e la conferma della venuta del Papa è arrivata nel dicembre del 2006.
Sono iniziati i lavori di preparazione delle infrastrutture necessarie per l’evento, come la costruzione di una tenda-chiesa che si sarebbe alzata in mezzo alle montagne. I giovani delle Fazendas di tutti i continenti hanno incominciato a organizzare il viaggio: la gioia di ricevere Benedetto XVI nella loro casa era immensa.
È arrivato poi il giorno più atteso, il 12 maggio. Alle 10,30 è apparsa la macchina con il Papa. Prima ha benedetto la nuova chiesa e ha salutato le Clarisse. Poi ha percorso la strada fino al palco dove ha incontrato i giovani delle Fazendas.
Accolto da un caloroso applauso, il Papa ha ascoltato Fra Hans Stapel ofm che ha rivelato il segreto della forza per sostenere questa Opera. Evidentemente doveva parlare la vita.
Per questo, un gruppo di giovani in ricupero ha presentato un momento artistico, seguito da cinque testimonianze di persone che hanno scoperto la ricchezza del Vangelo vivendo in una delle comunità e che hanno fatto vedere la forza della Parola di Dio vissuta. Ecco due di queste esperienze raccontate al Papa.
L’unità è una realtà
“Mi chiamo Roland, sono di Berlino in Germania, proveniente da una famiglia luterana. A scuola, il mio migliore amico apparteneva alla Chiesa cattolica e perciò parlavamo spesso sull’unità tra le Chiese. Con il desiderio di conoscere meglio la Chiesa dell’altro, sono andato una volta insieme con lui ad una Messa cattolica.
In questa Messa il sacerdote, all’omelia, ha parlato della Fazenda da Esperança, fondata in Brasile. Noi due abbiamo trovato molto interessante ciò che il prete aveva raccontato e, poiché stavamo cercando un posto dove fare il nostro servizio civile prima di entrare nell’università, abbiamo deciso di farlo nella Fazenda che poco tempo prima era stata avviata in Germania, la prima comunità fuori del Brasile.
Avevo allora 19 anni. Lì ho scoperto la felicita della vita in comunità. Ho sperimentato in me e negli altri giovani i miracoli della trasformazione che compie la Parola di Dio vissuta. Una volta terminato il mio servizio civile, ho deciso di non entrare nell’Università, ma di continuare come volontario nella Fazenda.
I miei genitori e i miei amici non hanno capito. Avevano paura. Io però ho sentito forte che era questo che Dio aveva preparato per me. Dopo cinque anni nella Fazenda in Germania, sono stato inviato con altri fratelli ad aprire la prima Fazenda in Asia, nelle Filippine.
Stiamo vivendo là da quattro anni. Nonostante le diverse difficoltà, di povertà, di lingua, di cultura e di clima, sto facendo un’esperienza straordinaria che mi dà una gioia ancora più grande. Ciò mi ha dato il coraggio di fare un passo che da lungo tempo era nel mio cuore: consacrarmi a Dio nella Família da Esperança, per potere servire con più libertà.
Avevo molti dubbi nel mio cuore: essendo luterano, come avrei potuto consacrami in una comunità cattolica? Ho lottato alle volte perfino con Dio, chiedendogli perché non mi avesse indicato una comunità luterana.
Tramite la vita nella Fazenda, ho capito una cosa. L’unità non è una teoria, non è una meta distante, ma una realtà legata alle radici del cristianesimo. E questo posso sperimentarlo nella vita della Parola, nell’amore e nel servizio al fratello, indipendentemente dalla confessione religiosa”.
I miracoli avvengono
“Mi chiamo Silvia Hatwich. Sono di Berlino e, a causa di un incidente di lavoro, a venti anni sono stata obbligata a dimagrire. In pochi mesi sono arrivata a pesare sessanta chili: ciò mi ha portato molti elogi e mi ha spinto a continuare a dimagrire.
Ho incominciato però a sentire sempre di più paura di mangiare e mi sono ritrovata con una anoressia nervosa, oltre ad avere comportamenti di automutilazione. Infine, ho tentato parecchie volte il suicidio. Quando ho raggiunto cinquantatre chili, sono finita in ospedale, dove sono dimagrita ancora di più e mi sono fatta male. E sono incominciate molte discussioni con i miei genitori.
Nel settembre 2002, mi hanno fatto visita tre ragazze della Fazenda da Esperança che mi hanno raccontato la loro vita. Mi sono sentita molto amata e sono tornata a mangiare, con l’obiettivo di visitare la Fazenda. Qualche tempo dopo, stavo già vivendo da loro, per recuperarmi.
L’inizio è stato difficile. Non avevo nessuna esperienza di vita con Dio. Solo il tempo e l’amore di tutti sono riusciti ad aprire il mio cuore per lasciare spazio a Dio. Durante questo tempo, ho potuto risvegliare in me il desiderio di vivere. Ho incominciato a lottare contro il problema del non mangiare e di ferirmi. Ho imparato che non dovevo scoraggiarmi e che dovevo accettare le mie difficoltà.
Più tardi, ho trascorso un periodo in Brasile. Dimorando in una Fazenda dove le donne potevano portare i loro figli, mi sono confrontata con una ferita profonda: voler essere madre. Io non mi accettavo come donna, perché ero stata abusata sessualmente. Il contatto con i bambini era per me molto doloroso. Non riuscivo ad amare me stessa: avevo paura di essere donna. Sono tornata a ferirmi, senza che le persone capissero, e mi vergognavo.
È sbocciato allora in me il desiderio di accettarmi così come sono. Con l’ appoggio di coloro che vivevano con me e l’aiuto della terapia psicologica, ho scoperto quanto Dio mi ama e ho potuto constatare che i miei genitori mi amavano così come ero, come ragazza.
Dopo questa esperienza non mi sono più provocata del male. Spesso andavo in cappella a piangere e chiedevo a Dio che mi concedesse il desiderio di essere madre.
E quel desiderio è sbocciato. Questa esperienza mi ha portato molto più vicino a Dio che, tramite il suo amore, mi ha permesso di essere la Silvia che Lui stesso ha messo nel mondo.
Oggi, vivo nella Fazenda di Berlino e so che per mezzo della mia esperienza e della mia lotta costante, posso essere luce per le altre ragazze. Sentire da loro stesse che, attraverso di me, ricevono forza per lottare e divenire donne nuove, mi rende felice. ‘Non esiste infatti felicità più grande che quella di dare la vita per il fratello’”.
Ambasciatori di speranza
Ed ecco infine le parole di Papa Benedetto XVI:
“Carissimi amici e amiche! Eccomi finalmente nella Fazenda da Esperança! Saluto con particolare affetto Fra Hans Stapel, fondatore dell’Opera Sociale Nossa Senhora da Glória, conosciuta anche come Fazenda da Esperança. Desidero innanzitutto rallegrarmi con tutti voi per aver creduto nell’ideale di bene e di pace che questo posto significa.
A tutti voi che vi trovate in fase di ricupero, nonché a coloro che si sono ristabiliti, ai volontari, alle famiglie, agli ex-ricoverati e ai benefattori di tutte le fazendas rappresentate in questa occasione per questo appuntamento con il Papa vorrei dire: Pace e Bene!
So che si sono riuniti qui i rappresentanti di diversi paesi, dove la Fazenda da Esperança possiede delle sedi. Siete venuti a vedere il Papa. Siete venuti per ascoltare e assimilare ciò egli desidera dirvi…
‘Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me’ (Ap 3, 20). Sono parole divine che giungono al fondo dell’anima e che scuotono persino le sue radici più profonde.
In un certo momento della vita, Gesù viene e bussa, con tocchi soavi, nel profondo dei cuori ben disposti. Con voi, Egli lo ha fatto attraverso una persona amica o un sacerdote o, chissà, predispose una serie di coincidenze per farvi capire che siete oggetto della predilezione divina. Mediante l’istituzione che vi accoglie, il Signore vi ha reso possibile questa esperienza di ricupero fisico e spirituale di importanza vitale per voi e per i vostri familiari. A seguito di ciò, la società si attende che sappiate divulgare questo bene prezioso della salute fra gli amici ed i membri di tutta la comunità.
Voi dovete essere gli ambasciatori della speranza!
Il Brasile possiede una statistica delle più rilevanti per ciò che riguarda la dipendenza chimica delle droghe e degli stupefacenti. E l’America Latina non resta indietro. Perciò dico agli spacciatori che riflettano sul male che stanno facendo a una moltitudine di giovani e di adulti di tutti gli strati sociali: Dio chiederà loro conto di ciò che hanno fatto.
La dignità umana non può essere calpestata in questo modo. Il male provocato riceve la medesima riprovazione che Gesù espresse per coloro che scandalizzavano i ‘più piccoli’, i preferiti di Dio (cf. Mt 18, 7-10).
A mezzo di una terapia, che include l’assistenza medica, psicologica e pedagogica, ma anche molta preghiera, lavoro manuale e disciplina, sono già numerose le persone, soprattutto giovani, che sono riuscite a liberarsi dalla dipendenza chimica e dall’alcool e a ricuperare il senso della vita.
Desidero manifestare il mio apprezzamento per quest’Opera, che ha come fondamento spirituale il carisma di san Francesco e la spiritualità del Movimento dei focolari.
Il reinserimento nella società costituisce, senza dubbio, una dimostrazione dell’efficacia della vostra iniziativa. Però, ciò che più desta l’attenzione, e conferma la validità del lavoro, sono le conversioni, il ritrovamento di Dio e la partecipazione attiva alla vita della Chiesa. Non basta curare il corpo, bisogna ornare l’anima con i più preziosi doni divini acquisiti col Battesimo.
Ringraziamo Iddio per aver voluto porre tante anime sulla strada di una speranza rinnovata, con l’aiuto del Sacramento del perdono e della celebrazione dell’Eucaristia” (Guaratinguetá, 12.05.2007).
Ha avuto una grande eco la sua richiesta: siate ambasciatori della speranza!
Attraverso i mezzi di comunicazione sociale, la sua esortazione ai trafficanti è stata veemente. Per noi che viviamo con questi giovani ex-tossicodipendenti dalla droga, è stato più forte ancora l’appello ad essere portatori di speranza in quest’umanità sofferente.
Il punto più alto della sua visita alla Fazenda è stato senza dubbio il momento in cui, rompendo il protocollo, è disceso dal palco e ha camminato in mezzo alla folla per salutare i giovani.
Superando tutte le attese, Benedetto XVI ha fatto vedere che la Chiesa era lì in mezzo a tanti figli prodighi, che avevano sciupato tutti i loro beni nel mondo, e adesso erano ritornati alla casa del Padre.
La Fazenda da Esperança ha visto così confermato il suo cammino di 25 anni, con il suo metodo semplice, il suo stile di vita cristiana, fondato sul mettere in pratica ogni giorno le parole del Vangelo, in un’esperienza di comunità e di lavoro.
La Chiesa e la società hanno aperto gli occhi su una strada e uno stile di vita adatto a molti giovani. Il Papa ha riconosciuto chiaramente il valore di questo lavoro educativo che ha dato frutti incontestabili in mezzo ad una gioventù prima esclusa e che ora è accolta nel seno della Chiesa.