Amazzonia, aumenta la deforestazione

Il presidente Bolsonaro manda all’aria dieci anni di progetti per rimboschire la foresta, per un totale di 1,3 miliardi di euro, di cui il 99% forniti da Norvegia e Germania. Dietro il negazionismo sul cambio climatico, fa l’occhiolino all’affare della produzione agricola su grande scala.

Il “Fondo Amazzonia” è il meccanismo di cooperazione internazionale che ha portato più risorse per ridurre i perniciosi effetti delle emissioni da effetto serra riforestando questo polmone “proprietà” del mondo intero. Dal 2008, sono stati raccolti e trasformati in progetti circa 1,3 miliardi di euro di cui la Norvegia ne ha offerto il 94%, la Germania il 5%, 68 milioni di euro, e la società statale brasiliana Petrobras il restante 1%. Il problema è che il meccanismo non piace al presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, perché è gestito da una équipe mista che deve tener conto dell’approvazione anche degli altri Paesi che vi contribuiscono.

Una settimana fa, dunque, Bolsonaro ha destituito il direttore dell’Istituto nazionale per la ricerca spaziale, “colpevole” di aver reso pubblico l’incremento della deforestazione della selva amazzonica da quando è iniziato il suo governo, rendendo cioè nota la perdita di circa 5.700 chilometri quadrati di foresta. Seguendo il pessimo esempio del suo collega Donald Trump, Bolsonaro dice non credere nei dati – sempre più evidenti – delle mutazioni climatiche, ed ha spesso ammiccato agli industriali della produzione agricola e dell’allevamento che cercano di sfruttare le risorse amazzoniche, ampliando prima di tutto le terre destinate alla coltivazione e all’allevamento in larga scala, anche a danno delle comunità indigene.

Il presidente ha trovato modo di litigare anche con le autorità norvegesi e tedesche con l’argomento che l’Amazzonia è del Brasile. In sostanza, il presidente dice: noi vogliamo fare quello che ci pare. Pertanto ha di punto in bianco rimpiazzato con gente a lui fedele il comitato tecnico di esperti brasiliani del Fondo che seleziona i progetti da portare avanti, lasciando di stucco i due governi soci, impegnati a finanziare il 99% delle attività del meccanismo di cooperazione, dato che tali decisioni si prendono in comune. La risposta è stata l’immediato congelamento del denaro ancora da destinare al fondo.

jair-bolsonaro-foto-apLe tensioni erano da tempo evidenti. Bolsonaro ha insistito in questi mesi a voler destinare terreni a latifondisti penalizzati dalle espropriazioni o a coloro ai quali erano state proibite attività produttive nei territori protetti. Un atteggiamento a dir poco sfacciato. La risposta di Bolsonaro è degna di un compendio di pessima diplomazia. «Ho un messaggio per la cara Angela Merkel: prendi i tuoi soldi e riforesta la Germania. Ne avete bisogno più lì che qui». Non è mancata una frecciata al governo di Oslo: «Ma non è la Norvegia quella che uccide le balene al Polo Nord? Prendete i soldi e andare ad aiutare la Merkel a riforestare la Germania». Vista l’impossibilità di avanzare in base a risultati verificati di riduzione della deforestazione e vista la presenza di “dubbi ragionevoli” in merito alla volontà del governo brasiliano di frenare la riduzione della selva, non sembra più possibile che la collaborazione continui e sia Berlino che Oslo hanno dubbi che sia possibile condurre in porto i progetti in corso di realizzazione.

Non è una buona notizia per i difensori dell’ambiente nell’anno in cui è stato stabilito che quello di luglio è stato il mese più caldo da quando si misura la temperatura del pianeta, mentre gli anni più caldi dalla rivoluzione industriale sono stati il 2015, 2016, 2017 e 2018. Stanno cominciando ad apparire studi in merito alle giornate di lavoro che nei prossimi anni si perderanno per le ondate di calore che saranno sempre più frequenti.

Il problema è politico, perché come si può evitare che il governo di turno stravolga i dati scientifici e decida fare marcia indietro in materia ambientale e, magari, ricorrendo a informazioni false? Fino a che punto una maggioranza ha diritto di mettere così a rischio la qualità di vita dei propri concittadini e, in particolare, quella delle future generazioni? Sono sfide alle quali la politica ed anche il diritto sono chiamati ad articolare delle risposte. Anche se, il buon senso e la prospettiva del bene comune fornirebbero – se rispettati – indicazioni più che sufficienti.

 

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