Amartya Sen critica Modi
Amartya Sen, il noto economista indiano premio Nobel e uomo di spicco fra coloro che cercano di leggere l’oggi del mondo da un punto di vista critico, ha recentemente pubblicato un nuovo libro:Il Paese dei primi della classe.
Si tratta di una raccolta di saggi e, fra i diversi argomenti, l’intellettuale Bengalese si dedica anche ad una valutazione del governo Modi, che ha superato il primo anno di vita dopo la storica vittoria riportata nelle elezioni della primavera del 2014. Sen ha recentemente presentato il suo ultimo lavoro in una intervista rilasciata al quotidiano Indian Express.
Il motivo del titolo lo spiega lo stesso autore che ricorda come da bambino, e più tardi da ragazzo, la domanda di rito era sempre: «Chi è il primo della classe?». Era scontato che dovesse essere un ragazzo, per questo l’interrogativo era sempre al maschile. Inoltre era imprescindibile che fosse uno che sapeva già da piccolo raggiungere grandi obiettivi.
Sen confessa di aver trovato la domanda, e l’atteggiamento che la provocava, sempre profondamente offensivi. Innanzi tutto alla radice di questo sta una forte discriminazione nei confronti delle bambine, un modo di fare e di pensare che determina il fatto che l’India sia uno dei Paesi al mondo con la natalità femminile più bassa, così come è molto problematico il tasso di alfabetizzazione delle donne e la loro vita media.
Paesi come Thailandia, Indonesia, Malesia e Cina, sebbene possano avere problemi in questi settori, si trovano in una posizione meno drammatica di quella indiana. A proposito di questo Sen sottolinea come, a fronte del fallimento della gestione politica del Congresso nei dieci anni precedenti, l’attuale governo stia facendo ancora meno.
Un secondo aspetto che la domanda iniziale nasconde è la tendenza di privilegiare coloro che sono più brillanti a scapito degli studenti meno dotati. Sen con una disamina razionale e concreta evidenzia come ci siano indiani alla guida di Microsoft e della Deutsche Bank e di molti altri istituti ed organizzazioni prestigiose a livello internazionale. A fronte di questo, tuttavia, milioni di loro compatrioti vivono senza aspettative né per sé né per gli altri. È questo stato di cose, prodotte da atteggiamenti come quello che provoca domande discriminanti, che determinano la stratificazione sociale e una perenne disparità.
Sen offre, poi, una valutazione critica sull’operato di Modi e del suo governo. La critica più radicale dell’economista riguarda proprio il settore economico e il miglioramento sociale che Modi aveva promesso nel corso della sua campagna elettorale. Realizzare una vera politica di sviluppo, nota Sen, significa mettere gli esseri umani al centro degli interessi economici e finanziari. Per Modi, invece, si tratta di costruire una leadership finanziaria ed una vera classe imprenditoriale.
Se questo rimane vero, insiste Sen, è necessario ricordare che l’umanità deve trovarsi al centro di queste politiche. Il governo del Congresso ha certo fallito, ma ha anche provato a realizzare qualcosa: progetti ed iniziative per privilegiare studenti provenienti da classi meno abbienti o da caste più basse. L’attuale governo ha, invece, eliminato anche i pasti finanziati dall’amministrazione per le scuole dell’obbligo.
Per avere una sana crescita è necessario armonizzare scelte economiche coraggiose, ma anche assicurare l’asticella del livello di sviluppo umano. Sen riconosce che molti Paesi sono riusciti ad ottenere questo binomi e non solo in occidente. Basta pensare a Corea, Giappone, Taiwan, Thailandia e Cina. In definitiva, Sen è categorico: «Se in passato l’India andava male sulla questione dello sviluppo e della qualità di vita degli esseri umani, ora la situazione è peggiorata ulteriormente».
Altro aspetto preoccupante per il premio Nobel è la questione del fondamentalismo indù, che vorrebbe, secondo l’agenda della cosiddetta Hindutva, assicurare che l’India sia il Paese di coloro che riconoscono e seguono la tradizione indù. La questione è seria soprattutto a livello culturale dove gli organismi del governo che dovrebbero assicurare che tutte le varie tradizioni religiose sia ugualmente e imparzialmente riconosciute e rispettate sono ora guidati da esponenti che esprimono l’ideologia dell’estrema destra.
Ulteriore tensione è stata creata da Chiese e istituzioni di altre religioni date alle fiamme e, soprattutto, dell’incoraggiamento che il governo dà in modo più o meno velato alla prassi del ghar wapsi, il cosiddetto ritorno a casa: di fatto una riconversione all’induismo di coloro che lo avevano abbandonato verso l’Islam e il Cristianesimo. Il timore che Sen aveva espresso all’atto del trionfo elettorale del partito guidato da Modi si è trasformato in questi tredici mesi in una vera prova dei fatti, sottolinea l’economista che, fra l’altro, si è sempre definito ‘laico’.
Nel corso dell’intervista Sen ha toccato vari altri punti della vita sociale, politica ed economica dell’India di oggi, ma si è soffermato a lungo su un argomento che lo ha toccato da vicino e che ha avuto degli sviluppi imprevisti proprio negli ultimi giorni. Il Nobel indiano era, infatti, Rettor Magnifico della Università di Nalanda, che per vari secoli – dal V al XII d.C. – ha attirato studenti da tutta l’Asia arrivando a diecimila studenti e duemila insegnanti, tutti residenti.
L’Università, pur avendo le sue radici buddhiste è nota per lo sforzo di garantire un approccio universale al sapere. Sebbene il Consiglio Accademico avesse già fatto richiesta al governo indiano di concedere un nuovo mandato a Sen, il rifiuto dei burocrati aveva creato il timore che anche questa istituzione cadesse in mano ad un rappresentante del fondamentalismo. Recentemente, invece, è stata presa una decisione a sorpresa, ma senza dubbio significativa. Il nuovo Rettor Magnifico sarà George Yeo, già Ministro degli Esteri di Singapore.
A conclusione della lunga intervista Amartya Sen è tornato a parlare della questione dell’emancipazione femminile e dell’urgenza di realizzarla non solo a parole all’interno del suo Paese. Ha ricordato che, da studente alla Presidency University di Calcutta e poi da insegnante all’università di Jadavpur, si era ritrovato «sconvolto non solo dalla disuguaglianza, ma dal fatto che le persone ne erano a conoscenza la davano per assodata. Mi sono sentito dire che [il mio] era un punto di vista occidentale, che le donne indiane non pensavano a se stesse come individui, ma come un’estensione delle loro famiglie. Ho avuto una discussione alla Delhi School of Economics negli anni ’60 e ho detto che questa era una forma di estrema negazione dell’individualità di una persona, che è il bene più grande che abbiamo. Questo è il modo in cui la disuguaglianza sopravvive, trasformando i diseredati nei sostenitori della disuguaglianza».