Amaldi: appello per la ricerca
Il professor Ugo Amaldi è uno degli scienziati italiani più conosciuti a livelo internazionale. Dopo aver lavorato per quindici anni all’Istituto Superiore di Sanità dal 1973 al CERN di Ginevra ha guidato diverse collaborazioni internazionali di ricerca in fisica subatomica. Poi, negli anni novanta, con la creazione della Fondazione TERA, si è dedicato in particolare allo studio dell’utilizzo delle radiazioni nella terapia del cancro.
Così è nato, finanziato dal Ministero della Salute, il Centro Nazionale di Adroterapia Oncologica (CNAO) di Pavia, presso il quale vengono curati con fasci di ioni carbonio i tumori radioresistenti che non sono sensibili ai trattamenti standard con raggi X. Quando nel 2016 il CNAO è entrato in funzione, in Europa esisteva soltanto un altro centro simile, a Heidelberg.
Professore, come è nata l’idea di una petizione pubblica per la ricerca?
Da un anno faccio parte della Consulta del Cortile dei Gentile, una iniziativa del Pontificio Consiglio della Cultura voluta dal cardinal Ravasi. All’inizio del lockdown Giuliano Amato, presidente della Consulta, ha suggerito che questo gruppo di intellettuali – credenti e non credenti – discutesse della pandemia e di ciò che deve essere fatto affinché la nostra società ne esca trasformata e più resiliente. All’inizio di giugno è cosi uscito il documento Pandemia e Resilienza, che si può scaricare dal sito del Cortile.
Nel mio contributo spiego perché i limitati finanziamenti italiani in ricerca pubblica – un po’ meno di 9 miliardi l’anno contro i circa 18 miliardi della Francia e i più di 30 della Germania – sono una delle cause principali dello scarsa competitività internazionale delle nostre imprese e dell’asfittico sviluppo economico, che non offre prospettive alle nuove generazioni. L’investimento italiano corrisponde oggi soltanto allo 0,5% del Prodotto interno lordo (Pil).
Ho proposto, quindi, di usare i soldi del fondo New Generation EU per aumentare gli investimenti pubblici nel 2021 di 1,5 miliardi e di continuare così per 6 anni, in modo da superare i 18 miliardi l’anno, raggiungendo l’1,1% del Pil. Questo è un po’ più dell’1% della Germania di oggi, in modo da compensare il fatto che in Italia le imprese investono molto meno delle imprese tedesche. Devo anche dire che questo è un investimento nelle donne, perché in Italia il 47% dei ricercatori pubblici sono donne contro il 35% di Germania e Francia.
Come aderire?
Questa proposta è stata lanciata alla fine di giugno su Twitter da Federico Ronchetti dell’INFN (Istituto Nazionale di Fisica Nucleare) che poi, il 19 settembre, ha messo sulla piattaforma change.org una lettera aperta al presidente Conte con lo slogan “la ricerca pubblica è di tutti i cittadini“. Si può sostenere l’iniziativa firmando qui. Invito tutti a leggerla e, se ne condividono le idee, a firmarla e a farla firmare ad amici e conoscenti.
Stanno arrivando i soldi del Recovery Fund e c’è la corsa a presentare progetti in tutti i settori. Perché dovremmo mettere ai primi posti la ricerca scientifica?
Perché centinaia di studi hanno dimostrato che la ricerca (che riguarda non soltanto le scienze naturali, ma anche le scienze sociali, le discipline umanistiche e l’arte) è il motore dello sviluppo economico. L’Italia non cresce e i suoi giovani cittadini non hanno prospettive perché non si investe abbastanza in istruzione, di tutti i gradi, e in ricerca. La scelta di un grande investimento pluriennale in ricerca pubblica è ciò che l’Europa si attende da un paese grande, ma purtroppo molto arretrato in questo campo.
Quanto è importante questo finanziamento, in particolare per il futuro dei nostri giovani, specialmente gli aspiranti ricercatori?
Giustamente l’Italia spende quest’anno molti miliardi per far ritornare a scuola in sicurezza bambini e giovani. Penso che sia più che giusto investirne un po’ meno l’anno prossimo per gettare le basi del loro futuro. Per questo lo slogan della campagna è “la ricerca scientifica è di tutti i cittadini”.
Lei è uno scienziato che vive al cuore della ricerca europea, al Cern di Ginevra. L’Italia è fanalino di coda nei finanziamenti, mentre è ai primi posti nella competenza e nei risultati dei ricercatori. Perché?
Perché abbiamo solide tradizioni scientifiche basate su grandi maestri e perché in media professori universitari e ricercatori lavorano molto, nonostante i bassi stipendi e le poche attrezzature. È importante rilevare che, nonostante le carenze che ho detto, il nostro sistema ricerca, che pur va riformato e snellito, è scientificamente molto produttivo. Infatti, un ricercatore italiano pubblica in media ogni anno un numero di lavori eccellenti sul piano internazionale del 20% maggiore di un collega tedesco e del 30% maggiore di un collega francese.
Quali progetti di ricerca le stanno più a cuore oggi?
L’uso dell’adroterapia per la cura delle aritmie cardiache, malattie che colpiscono milioni di italiani e di italiani. E sono stato molto contento quando, a gennaio, è stato annunciato che i cardiologi del San Matteo avevano controllato – con il fascio di protoni del CNAO e per la prima volta al mondo – la tachicardia ventricolare di un malato molto grave.
Di seguito l’intervista al professor Amaldi curata dalla Zanichelli.