Alzare le vele delle coscienze
È appena terminato il G8 di Camp David, il rating della Grecia è declassato a “CCC”, Madrid chiede aiuto alla Bce, la Borsa di Tokyo crolla. Sembrano notizie dell’altro mondo, di un altro lontanissimo mondo, che pur tanto ci tocca. Ma intanto il sorriso e la gioia di vivere sembrano svanire su troppi volti. Soprattutto negli occhi dei giovani. Anche Melissa voleva vivere, ma il suo sogno è stato spezzato.
È per continuare a vivere con la dignità di esseri umani, non di belve o di rapaci approfittatori, che non dobbiamo arrenderci. Rialzarci e ricominciare. E vivere con la speranza che insieme sapremo vincere la paura. Ma, prima di tutto, riuscire a dire a noi stessi: «Cosa posso fare io? Cosa possiamo fare insieme». Domande esigenti a cui non può che seguire un altrettanto esigente e nobile imperativo morale: «Io devo!».
Come acutamente annotava lo scrittore Franz Kafka, di fronte alle sofferenze del mondo, alle sue ingiustizie e violenze, «Tu puoi tirarti indietro: sì, questo è qualcosa che sei libero di fare. Ma precisamente, è proprio questo tirarti indietro l’unica sofferenza che forse potresti evitare». Come coraggiosamente ha sempre cercato di fare Giuseppe, un saggio insegnante ora anziano della nobile terra di Puglia, che nel suo far scuola controcorrente metteva in gioco tutto sé stesso, l’amore per i suoi ragazzi. Con loro si sentiva impegnato a vivere ogni giorno quello che era il motivo di fondo del suo agire educativo, su cui aveva giurato a Dio e a sé stesso, per il futuro di queste giovani generazioni: «La pace dipende anche da me». Inseguiva con i suoi giovani un sogno ma, come tutti i sogni, da realizzare con la determinazione e la responsabile forza dell’“esserci”, dentro la vita, nelle situazioni che ci chiedono di non delegare o di chiuder gli occhi.
Cosa non faremmo perché il volto di Melissa continuasse a sorridere alla vita! Gesto eversivo? Di un folle isolato? Quel che è certo è che, al di là di ogni possibile causa, questo drammatico fatto ha scosso le coscienze. Al di là di ogni legittima domanda, «Dov’è lo Stato, dove la giustizia?», ciascuno di noi oggi è più consapevole dell’urgenza di uscire dalla benpensante e comoda logica di rassegnazione, mugugno e deresponsabilizzazione a cui ci siamo troppo spesso adeguati.
C’è nell’aria una diffusa attesa di un cambiamento epocale, radicale dalle sue fondamenta. E questo non solo nei rapporti economico-politico-giuridici a livello internazionale, ma prima di tutto nelle nostre città, nelle nostre famiglie e scuole. Dopo questo ennesimo choc siamo tutti più convinti che non si può più tollerare la violenza, l’ingiustizia, gli intrighi, l’accanimento degli uni contro gli altri. C’è tanta nostalgia di una vita spesa bene, per il bene degli uni verso gli altri, per il bene comune.
In queste ore terribili, di fronte a tanta ferocia, anche noi ammutoliti ci chiediamo «Perché?». Una domanda a cui, però, occorre saper dare risposte, più coraggiose di quelle che abbiamo timidamente potuto dare, controcorrente rispetto a una cultura di rassegnazione, di passiva quanto rinunciataria delega. Alla tanto comoda quanto irresponsabile giustificazione del «Così fan tutti», dobbiamo saper contrapporre la logica fondamentale della ricerca del Vero e del Buono. Un cambiamento che deve iniziare prima dentro di noi, che nessuna legge potrà regolamentare, se non lottiamo prima di ogni altra cosa per educar le coscienze.
Come ha puntigliosamente scandito don Ciotti, fondatore di Libera, «questi ragazzi sono meravigliosi, non prendiamoli in giro». Certamente – e lo sappiamo tutti – essi hanno bisogno di verità, di coerenza e di testimonianza. Da parte degli adulti, prima di tutto! I nostri ragazzi hanno il diritto di toccare con mano ogni giorno, nel contatto con i loro educatori, insegnanti, genitori, gruppi, istituzioni e pubbliche autorità, che la dignità umana è il primo fondamentale valore da rispettare e da promuovere. Ci vuole giustizia e senso del bene comune.
Ma c’è una via estremamente importante da intraprendere, sia per adulti sia per ragazzi: il richiamo reciproco alla responsabilità. Dobbiamo assumerla dentro di noi, ora ancor di più.
Come ci ha ricordato Roberto Mazzarella in un suo vibrante articolo: venti sono gli anni che sono passati dalla strage di mafia di Capaci. Ma “vénti” (se lo pronunciamo con l’accento chiuso sulla lettera “è”) ci richiama “vénti”, plurale di vento, evocando la forza invisibile ma inarrestabile delle grandi idee e ideali, di valori che non devono mai smettere di «gonfiare le vele delle coscienze».