Altri mondi

Lettere dal fronte quotidiano / 7

La scuola è finita, almeno in Italia. L’estate è arrivata, almeno in Italia. Ci si prepara ad andare in vacanza. In pochi, e non solo in Italia, stando alle previsioni e alle statistiche giornaliere che i notiziari riferiscono.

C’è un popolo silenzioso e invisibile che attende l’estate italiana, non per le spiagge o per le alte cime, ma per il mare calmo, che permette di raggiungere le coste del nostro Paese. Negli ultimi giorni gli sbarchi dal Nord Africa in Calabria e in Sicilia sono stati decine, facendo arrivare centinaia di persone. Tra loro anche una neonata, che ha visto la luce sulla barca, etichettata dai media come “carretta del mare”.

C’è un popolo silenzioso e invisibile che soccorre queste persone, spesso liquidate con il solo appellativo di “clandestini”. Roccella Ionica e Lampedusa, solo per restare ai nomi più diffusi, sono più note per gli arrivi periodici di ogni estate, che per il mare, per il festival annuale di jazz la prima, o le specie animali e vegetali la seconda. Fanno notizia i numeri: dei dispersi durante la traversata, dei rimpatri e delle richieste di asilo politico. La cronaca ci aggiorna, puntualmente, riguardo a queste “storie di ordinaria disperazione”, che sembra non conoscere limite.

Il servizio successivo ci fa voltare pagina: altra cronaca, altre notizie, altri mondi.

Eppure c’è una fetta di Italia, soprattutto il tacco e la punta, che non gira pagina. Le strutture di accoglienza a Lampedusa e in tante città della Calabria e della Puglia cominciano lentamente a riempirsi, le forze di polizia e gli operatori sanitari accumulano ore di straordinario. Con loro un altro popolo silenzioso e invisibile, quello dei volontari, che prestano servizio e cure, non solo legate alla salute, ma anche alla lingua e alla sicurezza di queste persone. L’intento, anche se la strada è ancora lunga, è di provare a restituire loro dignità. Molti hanno attraversato vari Paesi prima di raggiungere il porto di imbarco: Libia e Tunisia i più comuni. “Profughi” (un’altra etichetta raccapricciante) da zone in conflitto, lacerate da guerre civili senza soluzione, sembra, in tanti Paesi del Nord e Centro Africa.

Le ferite da curare sono tante, non solo a livello epidermico. Chi attende che venga accolta la richiesta di rifugiato politico vive in un limbo, spesso senza fine e senza pace. Riconciliarsi con queste ferite non è facile, come provare a restituire dignità a chi pensa di averla smarrita in mare, naufragata insieme alla speranza. Non è facile neanche gestire decine di sbarchi al giorno, né proporre soluzioni a questa situazione, a livello nazionale e internazionale.

Ma, prima di cambiare notizia, canale, argomento, forse, potrebbe aver senso fermarsi, dedicare qualche istante a ricordare un volto, una parola, uno sguardo tra quelli che sono scorsi in pochi secondi sullo schermo. Forse pensare alla piccola neonata che non ha patria, né madre, introvabile al momento, potrebbe restituirle un po’ di dignità. E, magari, stimolarci ad andare al di là delle situazioni italiane, locali o personali che ci affliggono.

Il mondo dell’altro è molto più vicino al nostro di quanto possiamo immaginare.

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