Alti e bassi in mostra

Venezia prosegue tra film notevoli, "Night Moves" di Kelly Reichardt e "Bethlehem" dell’israeliano Yuval Adler, ed altri più controversi, "Philomena" di Stephen Frears e "Child of God" di James Franco
Il cast di Philomena con il regista (a destra) Stephen Frears

Finalmente è arrivata un po’ di gente, anche se siamo lontani dalle folle di una volta. La linea del festival è ondivaga, perché desidera essere “ecumenica”, come si  suol dire.

Così troviamo un film molto intenso, Night Moves di Kelly Reichardt. Un trio di giovani ecologisti prepara un piano per far saltare una diga, negli Usa. Il piano riesce ma ci scappano delle vittime. E la gente parla, mentre i tre giovani idealisti scoprono – loro che non volevano morti – la paura, il rimorso per quanto hanno provocato, il desiderio di cambiare vita, con tutto quello che è la fragilità giovanile. La ragazza ipersensibile non ce la fa (una perfetta Dakota Fanning), il più giovane (Jesse Eisenberg, molto intenso) è il protagonista, nel silenzio ostinato di un travaglio interiore che gli fa riscoprire il senso del male, dell’errore e la possibilità di una vita nuova. Girato dentro una natura boscosa incantevole, il film è uno dei migliori apparsi finora in mostra.

Double face, per così dire, appare Philomena di Stephen Frears, tratto da una storia vera. Un'anziana signora irlandese (Judi  Dench che meriterebbe la Coppa Volpi per la magica interpretazione), ragazza-madre ospitata negli anni Cinquanta in un convento di suore che le hanno venduto il figlio, viaggia alla sua ricerca insieme a un giornalista. Lei è una donna credente, lui cinico e ha perso la fede. Ironico, spiritoso, ma anche con battute anticattoliche un poco ideologiche (lui grida: «Maledetti cattolici» e la sala esplode in un applauso…), il film, ben costruito sotto ogni aspetto, trova il momento migliore nella scena in cui lei perdona la suora che l’ha gravemente offesa, forse aprendo uno spiraglio nel duro giornalista. La donna ha perduto il figlio, due volte, perché ormai è morto, ma la sua perseveranza nell’amore fa sì che ne ritrovi la tomba e qui si chiude il cerchio di questa che è in fondo una storia d’amore.

Clima d’inferno di un individuo solo nei boschi in Child of God di James Franco. Lester, un disadattato violento (un grande Scott Haze) è un essere primitivo, solitario, roso da un conflitto con tutti. Bisognoso alla fin fine di amore, ma che per questo conosce, come un animale istintivo, l’abisso dell’inferno: l’omicidio, la necrofilia. Film cupissimo, ansioso, inutilmente  provocatorio nelle insistite scene necrofile, si chiude con uno spazio luminoso dopo una cupezza esterna e interna che gela lo spettatore.

Non perdere, appena esce – non sappiamo però quando, perché se il film non trova distributori resta solo nei circuiti festivalieri – Bethlehem dell’israeliano Yuval Adler. È la storia dell’amicizia tra Sanfur, ragazzino palestinese, e Razi, del servizio segreto ebraico. Sanfur fa l’informatore segreto. Tra odi, rivalità, eccidi, il ragazzino deve crescere e sacrificare  l’amico. Film di formazione alla vita, durissimo atto d’accusa contro territori dove sembra nessuno voglia davvero la pace, è vicenda di un dolore inconsolabile.

La mostra  continua…

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