Alma Tadema e gli amici inglesi

Le opere della collezione di Pérez Simòn esposte al Chiostro del Bramante a Roma raccontano l'arte inglese di fine Ottocento. Un'arte decorativa, preziosa, dai colori vivissimi; una seduzione per l'occhio e per la mente che celebra la donna come mistero fascinoso, appagante e sempre ricercato
Alma Tadema e i pittori inglesi dell'Ottocento

C’è una gran voglia di bellezza in Europa, tra il 1860 e il 1920. In un vecchio continente percorso da accesi nazionalismi, dallo sviluppo industriale con stringenti problemi sociali che agitano le masse, l’Inghilterra si afferma la dominatrice del mondo, con la sua potenza coloniale ed economica.

Se l’aristocrazia continua a contemplare nei palazzi i Canaletto e i Bellotto, la grassa borghesia  punta a un mondo onirico diverso: la bellezza antica, mediterranea e orientale, la rivisitazione della classicità in un'atmosfera floreale di un estetismo estenuato, il culto della donna come femme fatale che ispira d’Annunzio, come le musiche di Richard Strauss o di Debussy, il fascino dell’eleganza di un Wilde e di un Proust. Insomma, il tardoromanticismo sensibilissimo, raffinato e "decadente". Nell’Inghilterra vittoriana e pudibonda, dove la musica de "I Puritani" di Bellini è il non plus ultra dell’amore virtuoso, la voglia di bellezza piacevole, fisica e al contempo sublimata produce un'ondata artistica che si rifà a modelli classici come rinascimentali – Tiziano in primis – e celebra la donna come mistero fascinoso, appagante e sempre ricercato.

È un mito, ovviamente, perché l’uomo ha bisogno di miti e di simboli, di "segni" e di modelli per dare senso alla vita. Un’arte  decorativa, preziosa, pennelli flessuosi, ricercati, colori straordinariamente vivi: una seduzione per l’occhio e per la mente. Ecco la pittura inglese di questi decenni.

Osservando l’olio su tavola di Lawrence Alma-Tadema "Le rose di Eliogabalo" (1888), ultimo quadro dei cinquanta nella  rassegna romana al Chiostro del Bramante, si ha la certezza che il mondo di questo artista come degli altri colleghi sia intessuto di un amore totale per una natura eternamente estiva o primaverile, per i fiori che sono espressione dell’amore. Tadema illustra un banchetto alla corte di Eliogabalo, imperatore romano raffinatissimo, che immerge in un mare di petali le sue donne. Petali rosei e bianchi, dipinti uno ad uno da un pennello carico di materia, come fossero appena apparsi, bagnati di rugiada. Si avverte l’ombra di Tiziano, delle sue Flore e Veneri col serto di fiori. Ma oltre al passato, c’è la storia recente, quella delle "Confidenze sgradite" (1895) tra due donne, in voga nella narrativa angloamericana dell’epoca. Ma i sospiri e le sorprese (si tratta sempre di parole d’amore) sono ammaliati da vasi di fiori bianchi e lilla, da signore vestite di seta, su una terrazza da cui si vede il mare: sono due donne dell’antica Grecia ma in un melodramma sottile, intimo come una musica di Massenet.

E la donna che guarda dentro sé, persa nei pensieri – altra tavola del 1897 – vestita di raso candido, seduta sopra un divano all’antica sulla loggia sul Mediterraneo blu è un creatura sola, che soffre malinconie indicibili ma soffuse nella luce calda e dorata, con accanto il vaso fiammeggiante di azalee. Immagine vaga di tristezza, che ama il dolce patire del ricordo o della nostalgia, con quel piacere della malinconia così proustiano, e così femminile.

Questa è infatti un’arte dove la psicologia femminile è osservata, trovata, espressa con una ambiguità tra il fascino del dolore e quello della seduzione come in una oscillazione tra desiderio e rinuncia, volontà di possesso e ritrosia pudica. Non altrimenti è la scena, lussuosa come ambientazione e trepidante come sentimento, del "Vano corteggiamento" (1900), dove un giovane in vesti greche e coronato di fiori osserva smarrito la bella che gli volta le spalle: cantano i fiori dovunque, nel vaso di malve gigantesche, nei colori armoniosi, in quell’aria di fuoco delicatissimo che brucia ma è costretto a trattenersi. L’amore come struggimento e ripulsa, come fiamma e tormento.

Una simile atmosfera si trova pure, con personali variazioni, negli altri pittori esposti nella rassegna. John William Godward dipinge "La lontananza avvicina i cuori": una donna greca di profilo, sullo sfondo marino, rosea nel volto e nella veste, sta in dolci pensieri sul balcone che fronteggia le onde e le montagne greche. Nostalgia per una antichità perduta, desiderio che l’amato ritorni, anzi il rosa vivace del vestito, il bruno dei capelli dicono che per la giovane egli è già qui, nella luce calda che l’invade tutta.

L’amore è passione, ma si esprime delicatamente: Arthur Huges nel 1863 dipinge la leggenda arturiana di Enid e Geraint colti nel bosco, l’uno accanto all’altro, lui che le accarezza i capelli, lei che guarda lontano con gli occhi lagrimosi e sognanti. L’amore è bello, ansioso e sospeso, come i colori intensi della tela. Ma la donna è desiderata, come Crenaia di Frederic Leighton (1880), bellezza corporea bionda, sorella delle bellezze che popolano le tele di quest’epoca di magia innamorata dell’antico ma vibrante di passione contemporanea. Non sempre raggiungibile, se è vero che il tristissimo "I giorni passano" di John Melhuish Strudwick (1878) vede un giovane rarefatto mirare una danza primaverile di fanciulle dolci e malinconiche, disegnate da un grafismo chiaro, floreale, perfetto come una vetrata in stile Liberty.

Siamo dalla passione, alla consunzione per amore. E l’uomo è – guarda caso – la vittima della donna vicina e lontana. Una rassegna splendida, da parte del collezionista spagnolo-messicano Pérez Simòn che qui ha voluto esporre una parte dei suoi capolavori.

Fino al 5 giugno (catalogo Silvana editoriale)

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