All’uomo ignoto del km 50
Alle 18, nella canicola romana, torno a casa sullo scooter nella lingua d’asfalto assolata e surriscaldata del Grande raccordo anulare. Una fila interrotta senza soluzione di continuità di veicoli su tre corsie. Procedo lentamente quando vedo un pick-up bianco fermo nella corsia d’emergenza. Rallento e d’istinto mi fermo. Vedo due uomini in piedi, uno molto slanciato con indosso bermuda e maglietta striate di vernice bianca e uno basso, stempiato. Al lato del furgone, a terra, un anziano che non si muove. Sembra come svenuto per la fatica, il caldo. Chiedo cosa è successo. Mi spiegano in un corretto italiano con accento dell’Est Europa che si tratta del loro autista. Si è sentito male, ha fatto appena in tempo ad accostare, è sceso ed è crollato a terra. Gli chiedo se hanno chiamato l’ambulanza. Avverto in loro un senso di spaesamento per lo sconforto, la paura, il non saper come intervenire, ma anche uno spaesamento geografico. Non avevano saputo spiegare all’operatore del 118 neanche dove sono. Richiamano davanti a me. Mi faccio passare l’operatore e gli dico. «C’è un uomo a terra che sembra morto». «Va bene ‒ risponde ‒ ma mi deve dire in che città siete?». «A Roma. Sul Grande raccordo anulare, tra l’Ardeatina e la Laurentina, chilometro 50, carreggiata interna». Nel frattempo si ferma una smart nera. Esce una ragazza giovane, capelli neri ondulati, pantaloni e camicia bianca. Le chiedo se è un medico. «Un’infermiera». E subito si china sull’anziano canuto, calvo, cianotico. Il volto è sempre più scuro. Gli apre la camicia e gli pratica un massaggio cardiaco. Prova più volte, si agita, perché non risponde. In pochi minuti arriva l’ambulanza. Scendono tre infermieri. Continuano lo stesso massaggio cardiaco, ma non c’è niente da fare. L’uomo ignoto del chilometro 50 è morto. Un infermiere preme con entrambe le mani sul petto e tiene il ritmo sillabando dei numeri. Poi con i polpastrelli effettua una leggera pressione sul polso per rilevare la frequenza cardiaca. Assente. L’infermiera, sconvolta, se ne va. La ringrazio. Non resta che pregare per l’uomo ignoto del chilometro 50, per i suoi compagni spaesati. Ripenso alla fragilità della vita che si dissolve in un attimo, all’estrema vanità di tutte le cose. Una certa agitazione e nervosismo si annida dentro di me. Avrei potuto conoscere le tecniche essenziali di pronto soccorso. Forse si sono persi dei minuti preziosi. Ogni mattina ripasso in quel punto. Ricordatevi anche voi dell’uomo ignoto a noi ma non a Dio.