All’ombra di san Francesco

Domenica 17 settembre ha termine la presenza plurisecolare dei frati Cappuccini a Trento, la città di Chiara Lubich. Un’occasione per riconsiderare con animo grato ciò che essi hanno significato per gli inizi del Movimento dei Focolari
Trento, chiesa di Santa Croce alla Spalliera, una delle chiese dei Cappuccini (Di Syrio - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=91490752)

Dopo circa quattro secoli, i Frati Minori Cappuccini di Trento lasciano il loro convento della Cervara. Il congedo ufficiale dalla cittadinanza è fissato per domenica 17 settembre presso la badia di San Lorenzo; presiederà la celebrazione l’arcivescovo mons. Lauro Tisi. La decisione, tutt’altro che indolore data la stima e l’affetto dei cittadini nei loro confronti, è maturata la scorsa primavera al termine del Capitolo ordinario della Provincia veneta dell’Ordine, considerate le circostanze di questa fase storica: calo numerico dei religiosi, effetti a lungo termine della pandemia, scarsità di nuove vocazioni, innalzamento dell’età media; e al tempo stesso il bisogno, da parte dei religiosi, di «custodire lo stile e la bellezza della vita fraterna che oggi, a motivo della diminuzione dei frati, i grandi conventi non ci permettono».

Chi mai potrà calcolare il bene spirituale e materiale irradiato durante un così ampio lasso di tempo nel capoluogo trentino dai “frati con la barba”, nel loro servizio a tutti ma specialmente alle categorie più fragili? Fra l’altro, con loro se ne va via anche un pezzo della storia del Movimento dei Focolari, nato proprio all’ombra del convento della Cervara, in quella piazza Cappuccini dove al n. 2, in un modesto appartamentino, ebbe sede il primo focolare che ospitò Chiara Lubich e alcune delle sue prime compagne. “Culla” del nascente Movimento fu, infatti, il Terz’Ordine francescano, e quando i bombardamenti alleati del 1943-44 colpirono duramente Trento quel nucleo iniziale collaborò alacremente con i frati a soccorrere la popolazione con generi alimentari, vestiario e altro, nella penuria generale causata dai tragici eventi bellici.

I primi significativi contatti di Chiara con la comunità francescana risalgono però al 1942: all’epoca non aveva ancora assunto il nome della santa di Assisi, di cui voleva seguire le orme, ed era la maestra Silvia presso l’Opera Serafica, l’istituto per gli orfani tenuto dai padri cappuccini a Cognola, frazione di Trento sulle pendici del monte Calisio.

Un giorno – probabilmente nell’autunno di quell’anno – uno di loro, padre Casimiro Bonetti da Perarolo, da poco direttore del Terz’Ordine, venne invitato dal direttore dell’orfanotrofio a parlare di san Francesco e del suo fuoco d’amore per Cristo crocifisso alle tre giovanissime maestre che insegnavano lì. Tra loro la Lubich, a cui poi domandò se era disposta ad offrire a Dio un’ora al giorno secondo le sue intenzioni. Immediata la risposta: «Non solo un’ora, ma tutta la giornata». Colpito da tanta giovanile generosità, il religioso la benedisse, aggiungendo: «Signorina, si ricordi: Dio la ama immensamente».

Per Chiara quell’annuncio detto con solennità risuonò in lei nuovissimo, come una folgorazione. Eppure sapeva dal Catechismo che Dio è Amore, era assidua alla chiesa e ai sacramenti, vissuti con una intensità già non comune. A cosa era dovuto l’effetto dirompente di quelle parole?

Probabilmente per lo svelarsi di qualcosa che già l’abitava. Infatti per amore la giovane maestra offriva un servizio di apostolato incondizionato, amore che solo apre alla comprensione delle cose divine. Per di più l’annuncio le veniva da un sacerdote, un uomo a cui Dio aveva conferito una autorità spirituale – e Chiara credeva fermamente nella parola di Gesù «Chi ascolta voi ascolta me». Ecco come mai lei «andò in fiamma», questa l’espressione usata da padre Casimiro.

A Dio che manifesta il suo amore personale si può rispondere solo amando: Chiara da quel momento avvertì l’urgenza di trasmettere anche ad altri (parenti, amiche, conoscenti) la stessa “rivelazione” capace di trasformare un’esistenza: «Dio ti ama, Dio ci ama immensamente», come risulta dalle “letterine dei primi tempi” che ci sono state conservate.

Ben presto Trento avrebbe conosciuto gli orrori della guerra, ma neppure le bombe sarebbero state capaci di spegnere il fuoco acceso in lei e nel primo gruppetto di focolarine. Anzi, per contrasto, Dio Amore sarebbe loro apparso l’unica realtà non transitoria, quella che nessuna bomba sarebbe stata capace di distruggere. Il 7 dicembre 1943, circa tre mesi dopo il primo bombardamento, quello del 2 settembre, Chiara – ancora sola e ignara di ciò che sarebbe nato da lei – si dava “tutta a Dio” col voto di verginità per le mani di padre Casimiro.

L’attendeva, il 23 gennaio 1944, un secondo appuntamento con Dio Amore, il cui tramite del tutto inconsapevole fu ancora lui, il frate cappuccino. Chiamato dalla Lubich a portare la Comunione a Dori, bloccata a casa da una malattia, in quella circostanza espresse la sua opinione sul momento della passione in cui Gesù più aveva sofferto: quando in croce aveva gridato «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Non immaginava certo, padre Casimiro, l’effetto in Chiara di quella affermazione natagli spontanea, senza esserselo proposto.

Quando se ne fu andato, lei così commentò quelle parole alle quali, per l’autorità del sacerdote, anche stavolta aveva aderito immediatamente: «Se il dolore più grande di Gesù fu l’abbandono da parte del Padre suo, quello fu il massimo del suo amore per noi. Noi lo scegliamo come Ideale e lo seguiamo così».

Più tardi quella circostanza le apparve «la risposta che Dio dava ad una nostra preghiera, quando, affascinate dalla bellezza del suo Testamento, noi, prime focolarine, tutte unite, avevamo chiesto a Gesù, nel suo nome, d’insegnarci a realizzare l’unità, per la quale aveva pregato il Padre prima di morire».

Una luce vivissima su Dio Amore le aveva invaso l’anima, luce che avrebbe dilagato dapprima in Trentino e più tardi in Italia. All’annuncio di un Padre che ama immensamente le sue creature, una volta rimessa la propria esistenza sui binari dell’amore evangelico, s’aggiungeva ora il “segreto” per aprire e mantenere sempre viva l’unità con Dio e con i fratelli: la scelta di Gesù che sulla croce grida l’abbandono, solo di lui, il “Dio amore” di chi ha compreso e fatto proprio il carisma dei Focolari.

Ci fosse Chiara il prossimo 17 settembre, quando avrà termine la presenza plurisecolare dei padri cappuccini a Trento, saprebbe dire un grazie adeguato a questi figli di san Francesco, così presenti nella storia della città come agli inizi dei Focolari, lei che ha avuto sempre a cuore la comunione nella carità fra carismi: fiori diversi sbocciati nel giardino della Chiesa in risposta alle esigenze dei tempi e tutti protesi a comporre nel tempo e nello spazio un “Cristo dispiegato”.

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