All’improvviso un malore
Una prova ti mette sempre di fronte all'essenziale. Allora, anche ciò che può sembrare un male può risultare un dono.
L’Etna maestoso con il suo pennacchio di fumo sembra un gigante buono che si gode il suo sigaro, sicuro che a quell’altezza non infastidisce nessuno. È questo lo scenario che trovo recandomi a Catania a trovare Franco. Lui mi accoglie sul pianerottolo di casa con un sorriso splendente. Conosco Franco, sua moglie Maria e i loro figli Annamaria, Mariano ed Emanuele da una vita: la nostra è più che un’amicizia.
Viene spontaneo rievocare insieme un momento particolare della loro esperienza di famiglia, uno di quei momenti che accadono all’improvviso e ti cambiano l’esistenza, mettendo in risalto l’essenziale.
«Era un giovedì di maggio – comincia a raccontare Franco –, Maria era via per un impegno e io, dopo aver sbrigato alcune commissioni, leggero come un fringuello grazie alle mie scarpe da ginnastica, sono passato a salutare degli amici. Saputo che Salvatore ritornava da fuori, mi sono offerto di andarlo a prendere all’aeroporto. Stavo per uscire quando di botto mi sento male. Mi invitano a stendermi sul divano, il male aumenta: freddo intenso, dolori al petto, alle braccia. Chiamano subito il 118 e avvisano Maria».
Tutta la famiglia in meno di un’ora si ritrova al Pronto soccorso: è codice rosso, fanno un Ecg, Franco vomita, gli mettono una flebo, fanno le analisi e lo tengono in osservazione. Un infarto? Ancora non è chiaro. Lo ricoverano al Pronto soccorso e durante la notte ripetono le analisi: sì, è proprio un infarto in corso.
Intanto, si fa fatica a trovare un posto in cardiologia: solo alle 15,30 del giorno dopo il medico fa scattare l’allarme: in mezz’ora da cardiologia si passa a terapia intensiva, e subito lo preparano per una coronarografia. Ma ancora non ci si rende pienamente conto della gravità.
Dopo un’ora il medico si affaccia e chiede ai familiari se può proseguire con un’angioplastica perché la coronaria principale è già otturata del 90 per cento e le altre, pure altamente calcificate, fanno fatica ad alimentare il cuore. Si rischia la vita, per cui non resta che dare l’assenso.
A questo punto anche i cuori di Maria, di Mariano, Annamaria ed Emanuele sembrano fermarsi. Cosa possono fare se non continuare a confidare in Dio? Dopo un’altra ora di sospensione una dottoressa annuncia che il medico sta facendo di tutto per scalfire il trombo calcificato che non vuole cedere, anche perché in una posizione particolarmente delicata.
Da un successivo comunicato medico risulta che i sanitari sono riusciti ad aprire un varco di quasi il 50 per cento, che intanto alimenterà il cuore evitando il peggio. La situazione resta delicata, ma finalmente si può tirare un respiro di sollievo.
Continua l’amico: «Abbiamo sperimentato come non mai che noi del focolare siamo una grande ed “unica” famiglia. Telefonate, messaggi, visite… Dopo dodici giorni di ricovero, tornato a casa, il mio primo pensiero è stato di ringraziamento a Dio, che avevo sentito sempre presente; ma subito dopo ho pensato a tutto l’amore arrivato da vicini e lontani. Era come se volessero dirmi, ciascuno a suo modo: “Dio ti vuole bene”; ed io da parte mia non potevo che affermare: “Sì, Dio è amore, nella luce come nel buio; e tutto quanto egli vuole o permette è per il bene mio e dei miei cari”».
Quanto ai familiari, in particolare i ragazzi, come hanno vissuto questa prova? Franco risponde di getto: «Li ho visti preoccupati per quello che mi stava succedendo, ma non chiusi, ripiegati su loro stessi, anzi, aperti verso tutti. Abbiamo capito che quanto era accaduto era un dono particolare di Dio e della Madonna per la nostra famiglia».
L’aroma e il gorgoglio dalla caffettiera ci segnalano che il caffè preparato da Franco è pronto. Sorseggiandolo, lui arricchisce il racconto di particolari curiosi con la sua verve che sa trasformare in facezia anche situazioni che altri attribuirebbero alla malasanità.
E poi, fattosi serio, un’altra confidenza: «Il giorno in cui avrei dovuto ripetere l’angioplastica, mi sono sbarbato, pulito bene per meglio abbracciare la croce. Agli altri apparivo sereno, ma nel fondo c’era un po’ di nervosismo, anche perché avrebbero dovuto usare una tecnica nuova, meno frequente, e che richiedeva maggiore attenzione. Mi hanno poi steso sul lettino dell’intervento e mentre mi mettevano sopra il corpo un telo “azzurro”, subito un’intuizione: Maria mi era vicina. Infatti è andato tutto benissimo al punto tale che il vaso è stato liberato senza dover usare la tecnica più delicata.
«Da quel momento ho sentito che dovevo essere dono totale per il mio prossimo, smussare certe punte aguzze delle nostre diversità per raggiungere quella concordia dei cuori che è dono dell’amore sempre nuovo di Dio per ciascuno».