Allenare i manager al positivo

L’esperienza di un "executive coach" di Londra. Un nuovo approccio psicologico
Matt Driver

Matt Driver, look da manager, appare una persona affabile, diretta, con le idee molto chiare. I suoi studi approfonditi in economia e psicologia lo hanno condotto a fare l’executive coach, ma anche l’insegnante e il consulente per manager sia del settore pubblico che privato, sia in Inghilterra che all’estero. La summa di tutte le sue esperienze e conoscenze è racchiusa in un libro dal titolo Coaching positively. Il nostro incontro avviene a Londra in un caffetteria nel quartiere di Euston. Naturalmente si beve tè, molto scuro, con latte e senza zucchero.

Cosa significa fare "l’executive coach"?

«È qualcosa diverso dall’insegnamento, non significa  trasmettere saperi, ma aiutare le persone a trovare dentro di sé cosa vogliono e come ottenerlo. In generale significa permettere, visto che lavoro soprattutto con manager, di prendere consapevolezza dei propri punti di forza per un costante miglioramento del loro lavoro e della loro squadra».

Quali sono le principali difficoltà che incontrano i manager?

«I manager hanno un piano nella loro testa che vogliono applicare. Il problema è che non conoscono ogni cosa e non sanno come realizzarlo. Alcuni manager spiegano alle persone che lavorano con loro ogni passo che devono fare e così non li fanno crescere professionalmente e umanamente. È come dire ad un bambino continuamente quello che deve fare. Così non impara e non prende iniziative. Il mio lavoro è aiutare i manager a crescere e imparare, per fare in modo che anche loro facciano crescere il personale con cui lavorano».

Ma “business is business”, gli affari sono affari, funziona dal punto di vista economico?

«È importante proprio dal punto di vista economico perché molte aziende stanno perdendo personale a causa dei licenziamenti per la crisi economica. Il risultato è che c’è meno personale per fare lo stesso tipo di lavoro. L’unica possibilità è far crescere le persone fino a portarle al punto massimo delle loro capacità. Se il manager agisce così avrà risultati migliori, ma studi psicologici dimostrano che in questi casi le persone sono più felici e realizzate.Sono due gli obiettivi di questo lavoro: svolgere al meglio le proprie mansioni professionali e fare in modo che il personale sia felice e la sua vita abbia un significato. È un doppio investimento e le ricerche scientifiche dimostrano che se trovi un significato per la sua vita, poi fai anche un lavoro ben fatto».

 Perché ha scritto questo libro?

«La psicologia studia la gente quando è malata, quando c’è qualcosa di sbagliato e aiuta a vivere meglio. Come executive coach, invece, applichiamo una “psicologia positiva” per mettere in luce nelle persone il positivo: cosa va bene, cosa è giusto, cosa funziona, cosa possiamo imparare dal successo. Per esempio, in molte aziende si usa sottoporre a revisione il lavoro del personale. Nell’approccio tradizionale, che non funziona, i manager esaminano nei dipendenti cosa va bene del loro lavoro e cosa è sbagliato, ma analizzano e insistono molto su quello che non va. Perché non pensiamo, invece, a diventare eccezionali nelle cose che già facciamo bene? Le ricerche scientifiche dicono che le persone di maggior successo hanno poche abilità, ma sviluppate in maniera eccezionale e debolezze non troppo pronunciate. Bisogna valorizzare il positivo: più cresce più il negativo scompare».

 Nelle conclusioni propone sei principi che sintetizzano il messaggio dell’intero libro?

«Spesso incontro persone che mi dicono che hanno un capo terribile e danno a lui la colpa per ogni cosa. Ma tu puoi solo cambiare te stesso, non puoi cambiare l’altro. Una volta stavo lavorando con un team molto difficile. Il capo era veramente un bullo, una persona molto aggressiva, e anche persone di esperienza non lavorerebbero mai con questo capo, vorrebbero lavorare con belle persone. Ma io ho detto: "Se non lavoro io con lui, chi ci lavorerà?". Insomma, per farla breve, i manager devono amare tutti nella squadra perché se hanno preferenze per una persona questo non funziona perché crea gelosie e litigi. Propongo sei linee guida affinché si possa fare un buon lavoro di squadra. In estrema sintesi parliamo di: tune in, imparare a sintonizzarsi con il cliente; take the iniziative, essere attivi, propositivi e coinvolti; stay open, essere flessibili, aperti e capaci di lavorare con tutti; look for the best, aiutare i clienti a dare il meglio di sé, credendo in loro e incoraggiandoli; hang in, non mollare di fronte a forti reazioni negative da parte del cliente, ma usare questi momenti per andare in profondità e individuare i passi successivi; build the relantionship, costruire relazioni di reciprocità».

 

 

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