Allegria, Mike!
Per un improvviso infarto è scomparso, ad 85 anni, uno dei più noti presentatori italiani. Aveva capito l'anima della tv di tre epoche.
Era nato a New York e morto a Montecarlo, all’estero, ma era profondamente italiano. Di un’italianità nazional-popolare. Semplice, anche se non sprovveduto. Basta riascoltare la sua cronaca da New York per la radio italiana, con cui collaborava negli anni Cinquanta, di un match di boxe di Rocky Marciano. Era bravo, la parlantina non gli mancava, veloce e sintetico. Così come aveva capito l’essenza del linguaggio della tv, senza fronzoli intellettualistici, come sono gli americani. Alla mano e perfezionisti fino all’esasperazione. Il gioco, fosse anche un quiz è una cosa seria. Costretto a tornare in Italia, in seguito alla crisi economica del ’29, non ebbe vita facile. Partigiano, conobbe la fame e la Gestapo che lo rinchiuse a San Vittore a Milano. «Devo dire – ha raccontato Mike Bongiorno – che questo periodo di prigionia ha influito molto nella mia vita». I 64 giorni di carcere in isolamento completo gli diedero dato il tempo di pensare. «Lì ho capito che Dio c’è. Mi ha dato sempre una mano» e tutta la carriera televisiva successiva l’ha vissuta come frutto degli stenti e delle sofferenze. «Non avrei avuto nulla da raccontare se non fossi stato in un campo di concentramento in Germania». Sfuggito miracolosamente più volte alla morte e alla fucilazione, fino allo scambio di prigionieri a Marsiglia, nel 1944 una nave lo riportò a New York.
Dopo le sue prime esperienze radiofoniche americane, il suo ritorno in Italia coincise, nel 1953, con i primordi della nascente televisione italiana. Anche se non era esperto, il fatto di aver respirato il clima culturale e la novità dell’avvento dell’era della tv, lo facevano adatto ad essere il pioniere di uno strumento che doveva essere popolare e democratico. Sollecitato da Vittorio Veltroni, uno dei primi dirigenti Rai, Mike propose il quiz, perché già ne aveva sperimentato, come telespettatore, la capacità penetrativa in tutte le categorie sociali e il successo garantito, come era già avvenuto per la radio. La novità è talmente sconvolgente che la sera del sabato, quando va in onda, il Paese si ferma, i cinema sostituiscono la pellicola con un televisore, il Parlamento chiude.
E, a ben vedere, anche tutta la sua vita è stata affrontare il rischio continuo, quel Lascia o raddoppia che lo porta alla notorietà, sembra in filigrana anche l’esperienza della sua vita, amante della sfida e della novità, a costo di perdere tutto. Intuito imprenditoriale e calcolo. Primo presentatore della Rai, nel 1954, primo presentatore di Canale 5 nel 1980, presentatore per Sky, la nuova tv, nel 2009. «Nessun presentatore al mondo – scrive Aldo Grasso – ha mai avuto un simile privilegio: segnare tre epoche, tre diversi modi di fare e intendere la tv». Quando inizia, nel 1954, la Rai ha solo 88 mila abbonati e Mike Bongiorno incarna perfettamente la tv del cattolico Filiberto Guala, amministratore delegato. La tv «era – scrive Flaminia Morandi – lo strumento fondamentale per un intervento sociale di modernizzazione della cultura». Anche il quiz, mutuato dall’America, non perde mai, a differenza dell’originale, lo scopo pedagogico della tv. Le selezioni sono durissime, il sapere specialistico e le risposte bisogna conoscerle, non indovinarle come si fa oggi tra tre diverse possibilità. Il suo linguaggio, assolutamente medio, fu attaccato da Umberto Eco, in Fenomenologia di Mike Bongiorno nel 1961, perché «abolisce i congiuntivi, le preposizione subordinate, evita i pronomi, non si avventura mai in incisi e parentesi». Contribuisce, invece, alla diffusione e conoscenza di un italiano semplice, non per eruditi. Nel 1954 il 66 per cento degli italiani parlava ancora il locale dialetto regionale.
Raggiunto l’apice del successo in Rai alla fine degli anni Settanta con Rischiatutto, fino a 20 milioni di telespettatori, non esita a mollare tutto e ricominciare nella sconosciuta Tele Milano, guidata da un anonimo imprenditore: Silvio Berlusconi. Mike, ancorato al reale e liberista per formazione, intuì che la televisione si sarebbe trasformata, da tv pedagogica a tv commerciale. Un contenitore che crea spazi pubblicitari per vendere prodotti, come aveva già aveva già visto a casa, a New York. La sintonia tra i due è perfetta. È la tv sognata da Mike, che si inventa le televendite, promuove con candida passione tutti i prodotti degli sponsor che gli danno da mangiare, forse afflitto anche da una sorta di “sindrome della guerra” che gli fa temere di tornare povero. Accetta una proposta che non può rifiutare, passa dal misero, in confronto a quanto guadagnavano gli attori del tempo, compenso Rai di 26 milioni all’anno ai 600 milioni che incassò dalla nuova tv, prodromo di Canale 5. Mike, sicuramente, rischiò, ma raddoppiò, e, per la prima volta, si sistemò anche economicamente.
Oggi che anche la neo televisione si sta spegnendo Mike « vede solo telegiornali, eventi sportivi e documentari. Credo che la tv abbia dato tutto quello che poteva dare – ha recentemente dichiarato». Da pioniere della tv sapeva bene che tutti i generi sono ormai stati esplorati, che non ci sono più vere novità da dieci anni. L’ultima è stata la nascita dei reality, la negazione di una tv che era nata per conoscere e capire il mondo, volgarizzando il patrimonio culturale esistente.
Ci mancherai Mike, con le tue gaffe, con la tua generosità, la tua professionalità vecchio stampo, la passione per il lavoro e le tue piccole miserie. «La tua allegria – ha detto Celentano – è appena cominciata. E non avrà fine!»