Alle radici di don Milani: prima di tutto sta Dio

Decenni di ricerche e domande sul priore della scuola di Barbiana che continua ad inquietarci con la sua radicalità cristiana. Intervista a Mario Lancisi, autore di “Don Milani. Vita di un profeta disobbediente. A cento anni dalla nascita”, Terra Santa edizioni
Don Lorenzo Milani Foto Osservatore Romano - LaPresse Francesco in pellegrinaggio a Barbiana DISTRIBUTION FREE OF CHARGE - NOT FOR SALE

A cento anni dalla nascita, don Lorenzo Milani resta un mistero inesplorato nella sua grandezza. La nettezza delle sue parole aiutano a far emergere scelte radicali, personali e collettive, e a costituire tuttora un segno di contraddizione. Per avvinarci a tale figura che resta incompatibile ad ogni intento celebrativo e agiografico abbiamo sentito Mario Lancisi, noto scrittore e giornalista, tra i maggiori conoscitori dell’originale vicenda umana del priore di Barbiana morto prematuramente a 44 anni nel 1967.

Come è nato il tuo rapporto con don Milani?
In maniera semplice e allo stesso tempo dolorosa. Non ho avuto modo di conoscerlo di persona. Tutto ha avuto inizio quando sono stato bocciato al quarto ginnasio di un liceo di Firenze.  Una cosa dolorosa da sperimentare in un ambiente competitivo e naturalmente classista.  Provenivo, infatti, da una famiglia povera, di contadini mezzadri. I miei compagni di classe erano figli di gente benestante, perlopiù notai e medici, che avevano in casa centinaia o addirittura migliaia di libri. Io ne possedevo appena due. Appartenevano a mia madre che aveva fatto la quinta elementare e leggeva, devota ma non bigotta, il testo religioso delle “Massime eterne” e usava il manuale di ricette di Pellegrino Artusi. Venivamo da San Sepolcro, in provincia di Arezzo. Ha cucinato dalla famiglia Buitoni

Non ricordo chi ma qualcuno mi diede il libro “Lettera a una professoressa”. Un testo verso il quale avvertii un senso di ripulsa per la copertina bianca, che mi sembrava anonima così come l’autore che non era il nome di una persona ma “la scuola di Barbiana”. Quando, però, mi decisi ad aprirlo e a leggere le prime frasi, ne rimasi come folgorato: «Cara signora, lei di me non ricorderà nemmeno il nome. Ne ha bocciati tanti. Io invece ho ripensato spesso a lei, ai suoi colleghi, a quell’istituzione che chiamate scuola, ai ragazzi che “respingete”. Ci respingete nei campi e nelle fabbriche e ci dimenticate».  Cominciai a piangere e poi a ridere. Le stese emozioni provate da Pier Paolo Pasolini quando raccontò l’effetto che aveva provocato quel libro su di lui.

Come si spiegano tali reazioni?
Avviene quando ascolti o leggi cose che avverti profondamente dentro di te ma non riesci ad esprimerle, per inadeguatezza, timidezza e ignoranza, ecc. Per me è cambiato tutto, si è come aperta la mia mente.

Hai scritto 11 testi su don Milani e ora è uscito un libro di 352 pagine che si intitola “Vita di un profeta disobbediente”. Perché?
Sento di dover tirare le fila del mio rapporto con il priore e indicare quella luce che io ho avuto il dono di incontrare e sento il dovere di trasmettere. Ho una sete immensa di raccontare don Milani fin da quel primo momento in cui mi sono avvicinato negli anni ‘70 a questo mondo. È stata Neera Fallaci, la prima bravissima biografa di don Lorenzo, a darmi i contatti della realtà del cattolicesimo fiorentino, da Balducci a La Pira e molti altri, di quel tempo straordinario che ho raccontato nel libro “I folli di Dio”.

Le fonti sono sterminate, tutta gente che ha scritto moltissimo…
È vero, cominciai cercando il rapporto con la mamma di don Lorenzo che aveva pubblicato estratti della corrispondenza con il figlio sacerdote, e poi con il magistrato Gianpaolo Meucci, grande amico di Milani, i compagni di scuola e di seminario, …una testimonianza corale he cerco di ricostruire restando interiormente quel ragazzo segnato da quella bocciatura al liceo e ben attento a dire il “mio don Milani”. Ognuno può offrire, infatti, il proprio sguardo senza avere la pretesa di offrirne la visione definitiva.

Praticamente è mezzo secolo che continuo a meditare e a interrogarmi sui testi e la vita di don Milani cercando di leggere il contesto in cui si è svolta la sua esistenza.

Puoi fare un esempio?
Prendiamo la famosa lettera a Nadia Neri, una giovane studentessa di Napoli che scrive nel 1966 alla scuola di Barbiana esprimendo tutte le sue inquietudini di giovane donna. Lorenzo era già gravemente malato, tanto che gli ultimi 3 anni e mezzo di vita la scuola andò avanti grazie all’impegno di Adele Corradi, professoressa di Borgo San Lorenzo che decise di spendersi per quella originale realtà sui monti dove ogni giorno arrivavano centinaia di lettere a cui rispondevano i ragazzi stessi. Quella volta però la stessa Adele si rese conto che le domande della giovane di Napoli chiedevano una risposta del priore e questi decise di alzarsi dal letto, tra lancinanti dolori, scrivendo una lettera intensissima dove dice, tra l’altro, «di fatto si può amare solo un numero di persone limitato, forse qualche decina forse qualche centinaio. E siccome l’esperienza ci dice che all’uomo è possibile solo questo, mi pare evidente che Dio non ci chiede di più… Quando avrai perso la testa, come l’ho persa io, dietro poche decine di creature, troverai Dio come un premio».

Per me è stato importante andare a cercare e intervistare Nadia Neri. Da tante lettere si coglie questa attenzione concreta di don Lorenzo verso le persone che ha davanti e delle quali si prende cura.

È una vita fitta di corrispondenza. Nel tuo libro cominci con un brano tratto da una lettera di don Lorenzo scritta nel 1950 ad un giovane prete. Perché?
Perché, a mio parere, esprime il messaggio radicale della fede di Milani. Comincia così: «Combattivi fino all’ultimo sangue e a costo di farsi relegare in una parrocchia di 90 anime in montagna e di farsi ritirare i libri dal commercio, sì tutto ma senza perdere il sorriso sulle labbra e nel cuore e senza un attimo di disperazione o di malinconia o di scoraggiamento o di amarezza. Prima di tutto c’è Dio. E poi c’è la Vita Eterna. E poi ci sono gli anni che passano. Gli uomini che sbagliano, invecchiano e muoiono.

Quelli che hanno ragione non invecchiano. Tutto sta dunque nel riuscire ad avere ragione davvero, nel trovare il vero davvero».

In questa obbedienza assoluta a Dio c’è il senso della disobbedienza al mondo, e quindi anche alle cose che non vanno nella Chiesa. È questo lo sguardo personale, frutto di decenni di ricerca e meditazione, che vorrei offrire per far conoscere la fecondità dell’insegnamento di don Milani.

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