All’asilo priorità per i bimbi veneti
In molti l’hanno definito il compimento di quel “prima i Veneti” che aveva segnato la campagna elettorale di Zaia nel 2010; e sicuramente non si può non pensare in questi termini alla proposta di legge dei consiglieri Maurizio Conte e Giovanna Negro (Lista Tosi), che va a modificare la legge regionale per i servizi educativi alla prima infanzia – la 32 del 1990 – inserendo tra i criteri di priorità per l’assegnazione dei posti negli asili nido comunali la residenza ininterrotta o il lavoro ininterrotto per 15 anni in Veneto dei genitori. La proposta porta la data del 3 maggio 2016, ma è stata approvata il 14 febbraio scorso; con il sì della maggioranza della Lega, l’astensione di Forza Italia – motivata con la volontà di discostarsi da “motivi ideologici e propagandistici” – e il no di Pd e M5S.
Ma, come si dice in questi casi, facciamo un passo indietro, per capire come si è arrivati ad un requisito come i 15 anni di residenza, bollato da più parti come eccessivo e discriminatorio. In Veneto gli asili nido comunali coprono soltanto il 10 per cento del fabbisogno totale: facile quindi immaginare lotte all’arma bianca per assicurarsi i pochi posti disponibili, evitando di dover ricorrere a quelli privati e alle più o meno onerose rette relative. Così, come recita il testo della proposta di legge, si è inteso «in ragione della limitatezza dei posti disponibili […] privilegiare quei cittadini che dimostrino di avere un serio legame con il territorio della nostra Regione».
Il testo giustifica poi, facendo riferimento anche alla giurisprudenza della Corte Costituzionale, la legittimità di tale decisione. Nelle loro dichiarazioni alla stampa, i proponenti hanno fatto riferimento anche ai tagli da parte dello Stato che obbligano gli enti locali a decisioni drastiche; nonché al fatto che, all’interno di un sistema di assegnazione basato sull’Isee, finiscano spesso per essere privilegiati i figli di genitori immigrati o comunque residenti da poco tempo in Veneto, che hanno tendenzialmente un reddito più basso, o magari famiglie in cui solo uno dei due genitori lavora. E allora non si vede perché non possano tenere il figlio in casa con sé, ha affermato la Negro, lasciando perplessi i sostenitori del valore educativo della socializzazione già prima dei tre anni d’età.
Poco ha giovato il fatto che il consigliere Pd Claudio Sinigaglia facesse notare che i bimbi stranieri occupano solo il 9 per cento dei posti pur assicurando la “tenuta demografica” della Regione; o che diversi consiglieri del M5S osservassero come i giovani d’oggi, in ragione della mobilità di studio e di lavoro, cambino residenza spesso e volentieri; il voto finale ha contati 31 favorevoli, 13 contrari e 3 astensioni. Sinigaglia l’ha definita «un’altra legge ultraleghista e fortemente ideologica che incide sull’autonomia dei Comuni e impedirà di fare graduatorie rispettose dei bisogni reali, siamo molto preoccupati per gli effetti negativi che produrrà, dalla minor attrattività del Veneto per le giovani coppie all’esclusione di tante famiglie vulnerabili»; ed ha ricordato come l’opposizione avesse proposto un criterio che contemperasse reddito ed anni di residenza (già introdotto peraltro in alcuni Comuni), senza però trovare ascolto. «Così si penalizzano i giovani cervelli in fuga che si guarderanno bene dal fare ritorno», hanno aggiunto Patrizia Bartelle e Jacopo Berti del M5S, nonché diversi altri amministratori locali ed editorialisti – su tutti Stefano Allievi de Il Corriere del Veneto, che vede in questa decisione il primo passo verso uno “splendido isolamento” del Veneto. L’opposizione ha anche preconizzato l’impugnazione da parte del governo perché si crea una disparità di trattamento, dubitando della pertinenza degli “appigli” alla giurisprudenza costituzionale offerti dai relatori.
Potrà pure essere vista come l’ennesima “bordata” leghista nella Regione del governatore più amato dai cittadini – secondo il sondaggio pubblicato da Il Sole 24Ore –, ma quel che è certo è che la cittadinanza pare essere ricettiva su questi temi: nel sondaggio online de Il Corriere del Veneto – che non ha valore statistico in quanto non basato su un campione scientificamente costruito, ma può comunque dare un’idea degli umori – il 70 per cento dei lettori votanti si è detto favorevole al provvedimento. Il fatto che famiglie più bisognose, anche se residenti da poco in Veneto, possano quindi trovarsi più in basso in graduatoria, pare non essere percepito come discriminazione, ma come “tutela” nei confronti dei “veneti di lungo corso”.
Eppure, in una società che appare sempre più divisa su questi temi, non mancano le buone pratiche: il Comune di Bassano del Grappa, ad esempio, ha visto certificare dall’Università di Padova l’efficacia dei nidi aperti a tutti. «Uno studio durato vent’anni – ha spiegato alla stampa l’assessore al Sociale Oscar Mazzocchin – ha dimostrato la relazione fra l’aver frequentato il nido e i buoni risultati scolastici successivi. Per questo, come Comune, abbiamo investito su inclusione e taglio delle rette. Riuscendo a invertire la tendenza negativa delle iscrizioni».