Allarmi ingiustificati sulla vendita Telecom
Le grida di allarme per la vendita della maggioranza Telecom ad un'azienda spagnola, motivate dal timore che la riservatezza delle comunicazioni italiane sarebbe messa a rischio, appaiono un po’ buffe, se si pensa agli scandali per intercettazioni improprie avvenute quando la Telecom era gestita dall’italianissimo Tronchetti Provera.
Quando un'attività, come nel caso delle telecomunicazioni, riguarda il bene comune, o la si mantiene pubblica oppure – se la si rende privata – la si assoggetta a regole precise. In tal modo chiunque sarà incaricato di gestirla dovrà comunque rispettare queste norme, che sia italiano o spagnolo, tanto più che i nostri due Paesi sono assoggettati ad accordi comunitari in merito.
Ogni tipo di attività di interesse pubblico va assoggettato a delle regole, secondo la logica anglosassone dei trust. In tal modo si può anche rendere privata la zecca che stampa la moneta, con la clausola che potrà stampare quella moneta solo per lo Stato che la incarica di farlo e non per altri.
Mi sembra che lo Stato italiano, dovendo ancora emettere un regolamento per una recente legge che regola le privatizzazioni, sia ancora in grado di stabilire delle regole in merito. Riguardo poi alla rete Telecom che si vorrebbe scorporare e farla tornare pubblica, questo offrirebbe all’acquirente spagnolo la possibilità di rivenderla ad alto prezzo, ottenendo un guadagno indebito a spese dei contribuenti italiani. La rete può rimanere privata, perché è situata sul nostro territorio, collega tutte le nostre case e quindi non la si può portare via: semmai va imposto che essa sia mantenuta efficiente, pena il sequestro dall'autorità giudiziaria e il ritorno senza oneri allo Stato.
La possibilità di trasmissione ad alta velocità di molti dati, quella che assicura la vera modernizzazione delle comunicazioni sul territorio, la cosiddetta banda larga, si realizza utilizzando una rete di fibre ottiche, non il doppino telefonico che costituisce invece la maggior distribuzione della rete Telecom. La società italiana possiede infatti una sua rete di fibre ottiche non ancora sufficientemente diffusa, mentre l'azienda privata Fastweb che non è italiana ne offre una più estesa e ha cominciato a costruirla prima della nostra Telecom. Non si dica quindi che lo Stato, e cioè tutti noi, dobbiamo ricomprare la rete per realizzare la banda larga.
Le privatizzazioni dei decenni passati, realizzate in buona parte da governi di centrosinistra, non si può dire che siano state un buon affare per i cittadini: se oggi un'azienda privata spagnola con soli 840 milioni può impadronirsi della nostra maggiore azienda pubblica di comunicazioni, significa che gli italianissimi imprenditori che l'hanno gestita, a seguito della privatizzazione, sono riusciti a succhiarne via tutto il sangue, come dei vampiri.
Questi fatti evidenti contraddicono il dogma secondo cui per rendere efficiente un'azienda occorre privatizzarla. Potrebbero renderla molto più efficiente dirigenti pubblici scelti per le loro caratteristiche professionali, tramite concorsi per titoli ed esami, come capita nei Paesi più civili, mentre non la rendono tale dirigenti privati scelti per le loro amicizie politiche, che poi ne condizionano il comportamento: il favore di essere nominato in cariche con stipendi stratosferici richiede sempre di essere riconoscenti e molto poco indipendenti.