Allarme salute: tre milioni di italiani senza medico di base
A Legnano e Rescaldina, in provincia di Milano, mancano i medici di base e i cittadini rimasti privi di assistenza sono costretti a rivolgersi al servizio di continuità assistenziale, l’ex guardia medica (dalle 20 alle 24 in settimana, dalle 9 alle 21 nei weekend e nei giorni festivi), o ad un ambulatorio temporaneo allestito per l’emergenza.
Nel Veneto non va meglio: in alcune frazioni di Padova, ad esempio, un migliaio di persone non ha il medico di base. A Sorano, nel grossetano, sono dovuti intervenire due medici del comune di Pitigliano per assistere i pazienti, mentre in Puglia mancano i medici sulle ambulanze e a Palermo, dopo che 36 tra medici di base e pediatri sono andati in pensione, il servizio di assistenza è andato in tilt.
La sanità pubblica italiana è allo sbando: per l’alto carico di lavoro ci sono addirittura infermieri che scelgono di lasciare gli ospedali e andare a fare gli operai, mentre l’assistenza sanitaria sembra virare in maniera irrefrenabile verso la privatizzazione. Medici e sindacati si stanno mobilitando per chiedere interventi urgenti: provvedimenti che ciascun cittadino dovrebbe esigere con forza per usufruire di un diritto sempre più negato.
Secondo i dati dell’Agenas, l’Agenzia nazionale per i Servizi sanitari regionali, se in una struttura ospedaliera operano 10 medici specialisti, e uno di questi va in pensione senza essere sostituito, si assisterà ad una riduzione parziale dell’attività e/o ad un prolungamento dei tempi che il cittadino-paziente dovrà attendere per una prestazione sanitaria. Quando, invece, il rapporto è 1 a 1 ‒ come nel caso della relazione tra medico di medicina generale e assistito ‒, e il medico va in pensione, essendo i suoi colleghi già oberati, probabilmente il servizio non verrà erogato.
Nel triennio 2019-2021 si sono “persi” in Italia 2.178 medici di medicina generale e 386 pediatri di libera scelta. Dal momento che ogni medico di base assiste in media più di mille pazienti e che i medici più anziani spesso sfiorano o addirittura sforano il massimale di 1.500 assistiti, ciò significa che circa tre milioni di cittadini sono rimasti senza medico di base.
Dello stato di salute del Servizio sanitario nazionale si è parlato nel corso della presentazione del Secondo rapporto sul sistema sanitario italiano, il Termometro della Salute, una ricerca promossa dall’Osservatorio Salute, Legalità e Previdenza Eurispes-Enpam presentata oggi a Roma presso la Sala del Museo Ninfeo.
Dopo il Covid, invece di rafforzare la sanità italiana, siamo rimasti indietro: l’investimento sulla salute nel nostro Paese, ad esempio, è oggi inferiore di oltre un terzo rispetto a Germania e Francia. Negli ultimi dieci anni, secondo i dati della Fondazione Gimbe, sono stati sottratti oltre 37 miliardi di euro alla Sanità pubblica, di cui circa 25 miliardi nel periodo 2010-2015, in conseguenza di “tagli” previsti da varie manovre finanziarie, e oltre 12 miliardi nel periodo 2015-2019, in conseguenza del “definanziamento” che, per obiettivi di finanza pubblica, ha assegnato al SSN meno risorse rispetto ai livelli programmati.
Per Gian Maria Fara, presidente dell’Eurispes, urge “una ambiziosa opera di riforma. Ambiziosa, ma problematica e irta di contraddizioni ed incognite. Se il Paese ha tenuto, se la Sanità pubblica ha svolto la sua decisiva e riconosciuta funzione, se il ruolo della salute nel quadro più generale di una società democratica e avanzata è tornato in prima pagina, sarebbe un grave errore non concentrare ora il massimo sforzo per rimettere, con la riforma, la Sanità definitivamente al centro delle politiche volte alla crescita del Paese”.
Per sopperire al vuoto di assistenza che si verrà a creare, l’Enpam sta lavorando ad un progetto che consentirà ai medici di base di aggregarsi in studi più strutturati, organizzati e attrezzati, pur continuando a garantire una presenza capillare e flessibile sul territorio (studi “spoke”).
La realtà, del resto, ci parla di mancato turn over e di blocco delle assunzioni, per cui medici ed infermieri sono anziani e troppo pochi rispetto alle esigenze della popolazione e non vengono sostituiti quando emigrano o vanno in pensione.
Secondo le previsioni, dal 2022 al 2027 il Sistema sanitario pubblico perderà ogni anno una media di 5.866 medici dipendenti, e una media di 2.373 medici di medicina generale. Per l’intero quinquennio vanno calcolate le uscite di 29.331 medici dipendenti, e di 11.865 medici di base. Rispetto agli attuali organici, per entrambi i comparti si tratta di perdite di poco inferiori al 30%. Anche i 21.050 infermieri più anziani del servizio pubblico sono destinati a lasciare vuoto il loro posto di lavoro nel prossimo quinquennio “per raggiunti limiti di età”. Essendo lavori usuranti, non è da escludere il ricorso ai prepensionamenti, che aggraverebbero la perdita di quasi il 10% degli addetti.
Esistono poi grandi diversità tra le regioni, che spesso spingono i cittadini a ricorrere all’assistenza privata: annualmente, si arriva ad una spesa di quasi 40 miliardi di euro. C’è poi la mobilità sanitaria: cioè la necessità di andare a curarsi in altre Regioni, perché nella propria non vengono erogati i servizi di cui si ha bisogno. Un problema che riguarda soprattutto i cittadini del Centro Sud.
L’istituzione delle cosiddette Case della Comunità non ha risolto il problema, privando anzi di personale gli ospedali e spingendo sempre più persone verso i privati.
Alle preoccupazioni attuali, legate ai disagi di pazienti e operatori sanitari, si aggiungonoquelle per la cosiddetta autonomia differenziata, che dà competenza esclusiva agli enti territoriali per la gestione di alcuni settori come la tutela della salute e l’istruzione. I lavori della riforma sono ricominciati nella Commissione Affari Costituzionali. La preoccupazione è che, pur fissando i livelli essenziali di prestazione, il Paese si ritrovi sempre più spaccato in due, dividendo la popolazione in cittadini di serie A e di serie B e disattendendo, quindi, al diritto alla salute costituzionalmente garantito a tutti.
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