Allacciate le cinture
Allacciate le cinture
Ozpetek ama il mare pugliese, dove gira ancora una volta un film, indugiando sul cielo limpido e le acque trasparenti e naturalmente gli usi locali, in gioiose tavolate. Il nuovo lavoro è un intreccio di storie sentimentali, tra passione e amore, maschili e soprattutto femminili. Il regista vuole indagare ancora cosa sia l’amore, la passione, nelle sue instabilità, incertezze, nella voglia di fare e nella paura di amare anche chi è diverso per inclinazione, carattere e stile di vita, come Elena, che sposa l’infedele e rozzo Antonio e lo ama anche quando lei è colpita da un tumore a cui lui reagisce in modo infantile.
È il dolore che arriva inaspettato, cambia le vite e il futuro. Si guarirà, si morirà? Antonio, se lei muore, sposerà un’altra? Tante domande in un film che descrive, ama le belle forme – corpi, luoghi, natura, la musica – cura la recitazione di questo mélo corale dove purtroppo manca lo scavo psicologico profondo, come se Ozpetek temesse di soffrire di più, analizzando cosa sia il dolore anziché restarne sulla soglia ed evitando la tragedia. Bravi gli attori (Kasia Smutniak, Carolina Crescentini, Francesco Scianna, Francesco Arca), in particolare Filippo Scicchitano, misurato gay (finalmente non una “macchietta”) e Paola Minaccioni nel ruolo della malata Egle.
300 – L’alba di un impero
Il sequel di 300, impostato su Temistocle, la vendicativa Artemisia – greca vendutasi al dio re Serse (un surreale Rodrigo Santoro) – e lotte navali distruttive, è un trionfo del sangue al livello massimo: nessuna scena di uccisione, nel ralenti voluttuoso di mostrare corpi tagliuzzati e ferite terribili che il 3D amplifica, ci è risparmiata, come pure momenti magici (il giovane Serse che diventa dio), sesso violento ed effetti speciali fascinosi che il grande schermo rende ancora più spettacolari.
Diretto da Noam Murro con la bellissima e cattivissima Eva Green (quella di Dreamers di Bertolucci), l’erculeo Sullivan Stapleton (ma tutti i soldati sono dei forzuti), il film non ha la fantasia vivace di 300, la narrazione stringente, i dialoghi serrati, ma, nella sua attenzione al botteghino e alle sensazioni primarie e istintive del pubblico, gioca la carta del successo, forse pensando ad un’altra puntata…
Felice chi è diverso
Gianni Amelio, regista raffinato che a suo tempo ha fatto outing, dirige un documentario sulla condizione omosessuale in Italia. Indugia volentieri, in parecchie interviste, sull’umanità delle persone, le storie più del passato che del presente – tutti sono degli sconosciuti al pubblico, tranne Ninetto Davoli e Paolo Poli –, la “persecuzione” dei media nei decenni passati con un atteggiamento di pietas rispettosa, un fondo di tristezza velata e molto dignitosa. C’è stato tanto dolore e si sente che Amelio lo dice senza gridare. Film corale anche commosso, per nulla gridato – come altri avrebbero certo fatto –, ma di notevole misura.
Fra le altre uscite, segnaliamo Tarzan in 3 D, cartone che rivisita con una buona dose di effetti speciali e attualizzazioni la celebre storia; Un ragionevole dubbio di Peter P. Coudins, thriller discontinuo su un giovane e affermato procuratore; La mossa del pinguino, prima regia di Claudio Amendola con un gruppo di amici (Edoardo Leo, bravissimo, Richy Memphis, Ennio Fantastichini) alle prese con l’Italietta immiserita di oggi, girato niente male e con notevole buonsenso, cosa rara oggi nelle nostre commedie.