Alla ricerca della semplicità

Accade, alla matematica, ciò che accade spesso alla Bibbia. L’ascolto abituale d’alcuni suoi brani durante la liturgia – spesso letti non troppo bene, ascoltai ancor peggio, proposti senza contesto e preparazione – porta a una conclusione affrettata e quanto mai fuori luogo: è una lettura difficile e un po’ noiosa. Lo stesso vale per la matematica. Che, insegnata nei corsi di studi senza la dovuta passione, senza la visione che la presuppone, trasmessa senza il fascino che emana, viene recepita dalla maggioranza come una materia difficile e noiosa. I più generosi ne riconoscono l’utilità, in quanto fondamento di varie discipline scientifiche, tecniche ed economiche. Se non altro per fare i conti personali. Perché chi non ne riconosce neppure l’utilità dà ragione all’ironica sentenza: Al mondo esistono due categorie di persone: quelle che non ne vogliono sapere della matematica e quelle che si occupano di loro. Ma chi ha conosciuto qualcosa dell’arte matematica, sa bene che essa è appunto un’arte, che ha il suo degno posto al banchetto delle muse accanto a quelle dell’architettura, della musica, della poesia, della danza, della pittura e della scultura. Con le quali continuamente s’intrattiene. E sa che essa non disdegna vezzeggiare con la logica e con la filosofia. Non ha del tutto torto chi afferma: la filosofia è un gioco con obiettivi e senza regole; la matematica è un gioco con regole e senza obiettivi. Perché essenzialmente la matematica è una creazione dell’animo umano il cui scopo principale è la bellezza: l’immensa soddisfazione che porta al suo creatore la contemplazione d’un mondo d’idee semplice, elegante, armonico. Le cui deduzioni sono concatenate logicamente come perle d’una collana. Il grande matematico tedesco Hermann Weyl diceva: Il mio lavoro è sempre stato orientato verso l’unificazione di verità e bellezza, ma quando mi trovavo costretto a scegliere fra esse, solitamente propendevo per la bellezza.Molti studenti, che si sono arrabattati con problemi ed equazioni di cui non riuscivano a comprendere quasi nulla, rimarranno a bocca spalancata: Ma che dice questo? N’do sta tutta ‘sta bellezza?. Come ogni arte la matematica ha la sue regole, il suo tirocinio d’apprendimento, il suo linguaggio. Nessuno può pensare d’imparare la musica senza studiare le note sui pentagrammi e il solfeggio.Ma superata la soglia, si può comprendere come la matematica sia assai simile all’architettura. Nella quale la bellezza, la gradevolezza d’un edificio è la somma di varie componenti: la sua utilità e la sua praticità senz’altro; il suo comfort; ma anche la sua eleganza, l’equilibrio e la simmetria fra le sue varie parti, la precisione e l’accuratezza con cui è stato realizzato. Prendiamo il caso d’uno stravagante e sfortunato, quanto genialissimo, matematico francese: Evariste Galoise. Il quale, dopo essersi fatto diversi anni di galera, morì ancor giovane in un insensato duello per una donna (lui che era omosessuale), trasmettendo ai posteri frasi sublimi, come questa: Gli sforzi degli studiosi di geometria più avanzati hanno per oggetto l’eleganza. Galoise aveva costruito un’incredibile edificio di pensiero, chiamato poi teoria di Galoise, per cercare di capire come si potessero risolvere le equazioni di 5° grado. Il risultato fu che Galoise dimostrò che tutti i tentativi di trovare la formula magica per quelle espressioni algebriche semplicemente erano andati in fumo… perché era impossibile risolverle. Quindi nessun risultato utile, ma l’elegante teoria di Galoise è rimasta nella storia della matematica come un emblema di perfezione ed è servita per ulteriori sviluppi delle teorie sui numeri. Il Festival della Matematica, che si è tenuto nella capitale nel mese di marzo ha voluto testimoniare proprio i due aspetti di questa materia: la bellezza delle sue relazioni interne, e i suoi stretti rapporti con le altre discipline culturali. Innanzitutto è significativo che il Festival si sia tenuto a marzo: perché proprio il 14 marzo (o 3.14, come scrivono gli anglosassoni) i matematici celebrano la festa della costante più celebre del mondo: p. Proprio di lui, il pi greco, il numero che s’impara fin dalle elementari studiando l’area del cerchio, le cui sue prime tre cifre – appunto 3,14 – furono scoperte dall’antico grecosiciliano Archimede. Il Festival dei numeri di Roma è stato realizzato con l’obiettivo d’abbattere le diffidenze e i pregiudizi che spesso circondano la disciplina della matematica, all’apparenza ostica, ma di così fondamentale importanza per il progresso umano. Al festival hanno partecipato personaggi d’eccezione, tra cui tre premi Nobel e due medaglie Fields (il riconoscimento più alto nel mondo della matematica, equivalente a un Nobel, che per la matematica non esiste). Fra essi c’erano: Andrew Wiles che nel 1995 dimostrò l’ultimo teorema di Fermat, da anni e anni in attesa di qualcuno in grado di scioglierne l’enigma; Benoit Mandelbrot il teorico dei frattali, quei numeri che danno origine anche a quelle incantevoli e insinuanti immagini; John Barrow, premio Templeton per la religione, che ha trattato l’argomento del rapporto tra le questioni matematiche e quelle teologiche; il campione mondiale di scacchi Boris Spassky che ha sfidato all’antico gioco d’origine orientale il premio Nobel per la fisica Alferov. C’era pure un premio Oscar, l’attore Russel Crowe, che nell’indimenticabile film Beautiful Mind ha rappresentato la penosa vicenda umana – sebbene un po’ cinematograficamente distorta – di John Forbes Nash Jr. il quale nel 1994 vinse il premio Nobel per l’Economia con la Teoria dei giochi, dopo essere stato malato di schizofrenia per ben 25 anni. Il titolo della manifestazione La bellezza dei numeri, i numeri della bellezza sta a sottolineare ancora una volta il sentimento della bellezza che si manifesta e affiora in tutto il pensiero matematico. Bellezza che si coglie soprattutto attraverso la ricerca delle formulazioni e delle procedure più eleganti, che sono anche sempre le più semplici e le più sintetiche. Perché forse il segreto più affascinante della matematica sta proprio in questo: la ricerca della semplicità. Per questo Einstein amava affermare: Quando la soluzione è semplice, Dio sta rispondendo . La semplicità dunque, segreto della matematica. Ed anche della vita.

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