Alla ricerca del green flash

Scozia, Caucaso, Mar Cinese Meridionale: tre luoghi per tre scrittori che vi hanno rappresentato il raro fenomeno del “raggio verde”

 

Tra i luoghi più celebri della Scozia c’è una grotta marina dell’isola di Staffa, appartenente al gruppo delle Ebridi: la Grotta di Fingal, così detta dal nome dell’eroe di un poema del Ciclo di Ossian, mentre il suo nome gaelico è An Uaimh Bhinn (Grotta della Melodia). Fin dall’esterno, grazie alle formazioni stranamente regolari della parete rocciosa, si direbbe architettata dall’uomo, ed è invece uno straordinario parto della natura. Sessanta milioni di anni fa, infatti, una colata lavica, raffreddandosi a partire dalla superficie, diede origine in profondità ai colonnati basaltici esagonali che oggi danno a questa maestosa cavità di circa 20 metri d’altezza e 70 di profondità l’aspetto tipico di una cattedrale. Dall’interno l’ampia entrata ad arco consente la vista sul mare e sull’isoletta di Iona, celebre per l’abbazia dalla quale partì l’evangelizzazione della Scozia pagana e di gran parte dell’Inghilterra del nord. Se si aggiungono i misteriosi echi prodotti dalle onde che invadono questo luogo incantato, non sorprende che la Grotta di Fingal abbia ispirato drammaturghi come Strindberg, scrittori e poeti come Wordsworth, Keats e Tennyson, pittori come Turner, musicisti come Mendelssohn, Brahms, Mertz e perfino, tra i contemporanei, i Pink Floyd.

Tra gli scrittori suggestionati da questa meraviglia naturale ha una menzione particolare Jules Verne col suo romanzo del 1882 Il raggio verde, il cui finale egli colloca appunto nella Grotta di Fingal. Più divertente commedia romantica che racconto d’avventura, esso prende spunto dal raro fenomeno ottico del titolo, il raggio verde appunto, che in particolari condizioni di limpidezza dell’aria e ampiezza d’orizzonte è possibile ammirare quando il sole sta per sorgere o è appena tramontato. «Se c’è del verde in paradiso, sicuramente è quel verde, il vero colore della Speranza»: così ne parla Verne; e continua: «Un raggio verde, ma di un verde meraviglioso, di un verde che nessun pittore può ottenere sulla sua tavolozza, un verde di cui mai la natura, né nella varietà dei vegetali, né nel colore del mare più limpido, ha riportato la sfumatura!».

Il raggio verde è anche il titolo di un film del 1986 diretto da Eric Rohmer che non è affatto la trasposizione del racconto verniano, ma ad esso si ispira per il fenomeno di cui parla. Una curiosità: il regista ebbe la fortuna di filmarlo, ma quando, prima della distribuzione nelle sale cinematografiche, il film fu diffuso su un canale televisivo, il raggio verde risultò invisibile: proprio come avvenne alla protagonista del romanzo, che al momento in cui esso apparve mentre era in osservazione dalla Grotta di Fingal, se lo lasciò sfuggire, persa com’era negli occhi del suo innamorato.

Che Anton Čechov abbia conosciuto il libro è impossibile asserirlo, anche se gli autori russi dell’Ottocento erano bene informati sulla produzione letteraria francese e Verne non era certo un romanziere letto solo dai ragazzi. Fatto sta che il raggio verde o green flash fa la sua comparsa nel momento culmine del suo racconto del 1891 Il duello. Ambientato in uno sperduto villaggio del Caucaso, questo autentico capolavoro narra la contesa tra il gaudente e perdigiorno Laevskij e lo scienziato darwinista von Koren, simboleggiando con ciò lo scontro ideologico tra le grandi teorie ottocentesche sull’uomo. Il mattino del duello, al primo sorgere del sole, entrambi gli sfidanti assistono per la prima volta al singolare fenomeno, ma mentre von Koren s’entusiasma per esso da uomo di scienza, Laevskji è troppo preso dai pensieri di morte per riscaldarsi a sua volta. Come mai lo scrittore ha inserito il lampo smeraldino in una circostanza così drammatica? Per insinuare con quel verde un presagio di speranza? In effetti, scatenato da futili motivi, il duello finirà in un nulla di fatto e i due nemici, qualche mese dopo, si separeranno riconciliati.

Lettore assiduo di Verne, dal quale è molto probabile che l’abbia recepito, Emilio Salgari registra lo stesso fenomeno nel suo romanzo di guerriglie nella foresta e di battaglie navali Il re del mare del 1906. Il titolo richiama il formidabile incrociatore col quale Sandokan e i suoi hanno dichiarato guerra all’Inghilterra e al rajah di Sarawack. Malgrado qui le descrizioni naturali a lui solite siano ridotte al minimo, mentre i pirati di Mompracem percorrono il Mar Cinese Meridionale sotto la minaccia incombente dalla squadra navale inglese, lo scrittore ci sorprende con l’apparizione del famoso green flash: «Il sole tramontava in un oceano di luce, le cui tinte a poco a poco variavano certo in causa dello stato più o meno igrometrico dell’atmosfera e della distanza dell’astro dallo zenith. Mentre stava, per modo di dire, per affondare nell’oceano, pel cielo si diffondeva una luce rosso-giallognola la quale prendeva rapidamente una tinta quasi violacea che si perdeva insensibilmente in un fondo azzurro-grigiastro. Il margine superiore del disco stava per sparire, quando apparve improvvisamente un raggio assolutamente verde […]. Si proiettò per qualche istante sulle acque, poi scomparve di colpo, mentre l’ultimo lembo dell’astro diurno si celava dietro l’orizzonte».

Dopo questa pausa rasserenante, riprendono tra i nemici di sempre gli scontri sanguinosi culminanti nell’inevitabile ma gloriosa fine del Re del mare.

 

 

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