Alla ricerca del bello o dell’eccesso?
In questi anni in cui la cura dell’esteriorità sembra acquisire maggiore attenzione rispetto all’interiorità, la chirurgia plastica viene spesso chiamata in causa come responsabile dell’immagine della persona, assumendo spesso la connotazione di bene di lusso, legato ai desideri e alle vanità soggettive. C'è una distorsione nell'utilizzo di queste tenciche?
«Le stesse tecniche di chirurgia plastica possono essere utilizzate per motivi voluttuari o per finalità ricostruttive. Non è quindi la chirurgia plastica il problema, ma l’utilizzo che se ne fa. In ambito estetico dobbiamo fare le opportune distinzioni. In televisione spesso osserviamo con orrore dei personaggi pubblici o in cerca di fama che sembrano delle caricature. Labbra a “canotto”, seno esplosivo, “zigomi da scoiattolo” e viso paralizzato rappresentano solo delle brutture che non dovrebbero vedersi mai. Alle volte sembra che l’eccesso sia l’unico modo per emergere! La chirurgia plastica si occupa e si deve occupare di armonia e proporzioni, di ripristino della normalità, di restituire dignità a pazienti che l’hanno persa per motivi indipendenti dalla loro volontà. Questa è la chirurgia plastica che amo e che pratico ogni giorno».
In qualità di medico specializzato, quali rischi intravede in una interpretazione distorta degli interventi di chirurgia plastica ed estetica?
«Intendiamoci, la ricerca del bello non è da biasimare. Gli studi dimostrano, ad esempio, che i pazienti che vengono accolti in un bell’ospedale ordinato, pulito e luminoso hanno una capacità di ripresa dalla malattia superiore rispetto a pazienti trattati in ospedali meno belli ed accoglienti. In un ospedale ci devono essere competenze e capacità, e se l'ospedale è bello meglio, ma non possiamo sostituire la bellezza con la competenza. Lo stesso è per l’essere umano. La bellezza non deve essere la cosa più importante. Un bel contenitore senza un bel contenuto non ha senso. Se dovessimo definire il concetto di bellezza potremmo dire che coincide con l’armonia, la proporzione e l’equilibrio. Il modello di bellezza proposto dai media, invece, non è quasi mai legato alla semplicità, alla pulizia e all’eleganza. In televisione la bellezza viene vista come trasgressione, esagerazione e spesso anche volgarità. Il rischio che si corre altrimenti è che la chirurgia plastica venga vista come una specie di catalogo su cui non è giustificabile rovinare il corpo di un paziente con trasformazioni grottesche e ridicole».
In una società in cui sembra che si possa comprare anche la felicità, quale ruolo svolge l’etica professionale nel discernimento tra interventi necessari e interventi legati all’illusione di un miglioramento della vita personale?
«Apparentemente il lavoro del medico è semplice: aiutare le persone a stare meglio. Nel caso del chirurgo plastico estetico dovrebbe solamente eseguire trattamenti che procurino benessere ai pazienti. Nulla di più semplice! La realtà dei fatti è purtroppo diversa. Se il medico asseconda solo i desideri dei pazienti non compie il suo lavoro in maniera corretta. La funzione principale del chirurgo estetico è quella di far capire quali siano i reali problemi, se ce ne sono, e quali richieste possano essere espresse su delle localizzazioni corporee di un disagio che è solo psicologico. L’etica professionale e i valori forti associati all’equilibrio personale mi aiutano a capire immediatamente quale intervento è giusto per il paziente e quale no. Se considero quale intervento è giusto “per me” in termini di guadagno economico commetterò sempre delle scelte sbagliate per il paziente».
Lei avverte ancora la “missione medica” legata alla sua professione?
«Ogni mattina ho la possibilità di mettere a disposizione degli altri la mia competenza e, per quanto mi è possibile, cerco di assistere chi ha bisogno di aiuto. La competenza tecnica però è solo una parte del bagaglio del medico. Nella maggior parte delle volte la cura dei pazienti parte dall’ascolto. Il dedicarsi al paziente come persona e non come “parte malata” è fondamentale. Molti dei disagi lamentati sono legati all’ansia dovuta alla malattia, e non alla malattia stessa. Ascoltare, tranquillizzare e far sentire “amata” la persona che ho di fronte è una delle cose che mi piace di più del mio lavoro. Basta pensare: "Cosa farei se questo paziente fosse mio fratello?". La risposta è automatica: tutto quello che posso».
In che modo riesce ad esprimerla nel suo quotidiano?
«Come dicevo prima l’aiuto ai pazienti non si limita alla cura, ma riguarda il “prendersi cura” dei pazienti. La competenza tecnica è indispensabile per un medico, ma ho imparato anche che le cosiddette “competenze trasversali” trasformano un medico competente in un medico “umano”. Le competenze trasversali sono quelle che tutte le persone dovrebbero avere ed utilizzare. Il medico in particolare deve essere in grado di ascoltare profondamente il paziente e le sue istanze, entrare in empatia con il paziente senza farsi sopraffare dalle emozioni ed aiutarlo nelle scelte terapeutiche senza imporre la propria idea. Quando ho vissuto l’ospedale da paziente mi sono reso conto del punto di vista dell’altro e ho preso coscienza di quante mancanze in buona fede ho commesso. Oggi sono molto più consapevole di come posso aiutare il prossimo».
In base alla sua esperienza, com'è la sanità in Puglia?
«La sanità pugliese e italiana in generale è piena di esempi di buona sanità e di eccellenze. Nel reparto nel quale ho l’onore di lavorare ci occupiamo di moltissime patologie anche gravi. In particolare la microchirurgia e la chirurgia dei reimpianti d’arto è una delle tante eccellenze del nostro reparto. Il bacino di utenza che copre la chirurgia plastica universitaria del Policlinico di Bari per questa specialità è di oltre cinque milioni di persone. Il reimpianto di arti è un lavoro che richiede una elevatissima competenza tecnica, una collaborazione ottimale con gli specialisti del 118 e degli ospedali periferici e tempi ristretti per eseguire gli interventi. Grazie a questa ottima collaborazione riesco a reimpiantare dita o arti con un'elevata percentuale di successo. Uno degli ultimi casi di buona sanità ha riguardato il reimpianto della gamba di un ragazzo di appena 18 anni. Dopo un intervento di nove ore la gamba è stata reimpiantata con successo e a distanza di un mese circa il paziente è potuto tornare a scuola e riprendere la sua vita».
Qual è il fattore di eccellenza che ritiene indispensabile oggi?
«Moltissimi studi hanno evidenziato che in un buon rapporto medico-paziente c’è l’inizio della guarigione. Le medicine o gli interventi chirurgici sicuramente risolvono efficacemente le patologie, ma spesso non eliminano la paura della malattia, di essere abbandonato e di non sapere a chi rivolgersi. Con il gruppo di persone che lavorano con me cerchiamo di comportarci in modo tale da far sentire “l’altro” come se fosse “uno di noi”. Questa è la cosa più importante. Le tecnologie e tutti gli ausili strumentali non hanno senso se prima non c’è un rapporto tra persone. Prendersi cura del paziente significa velocizzare il processo di guarigione, motivare il paziente a riprendere una vita normale ed evitare eventuali azioni legali nei confronti del medico e dell’ospedale».
Ritiene che possa sussistere un conflitto di interesse nel rapporto tra la professione di medico e quella di consulente di immagine che, spesso nel suo ruolo, il chirurgo plastico si trova a svolgere?
«Il conflitto di interessi non sussiste per il chirurgo plastico ricostruttore perché qualunque intervento chirurgico viene effettuato nell’esclusivo interesse del paziente. Nello svolgimento dell’attività di chirurgo plastico estetico potrebbe crearsi un conflitto di interessi nel caso in cui si dovesse creare insicurezze o falsi bisogni nei pazienti per poi proporre un trattamento adatto a correggere l’ipotetico difetto. La funzione del chirurgo plastico non è quella di sottolineare i difetti da correggere, ma di chiedere al paziente quali secondo lui o lei sono i difetti che vorrebbe correggere. Solo allora il medico corretto deve spiegare al paziente quali sono i difetti sui quali realmente intervenire e quali invece sono solo delle distorsioni del paziente. Un esempio che mi piace fare è quello di un palloncino e una pietra. Entrambi hanno una superficie che può essere bellissima esternamente, ma il palloncino alla minima sollecitazione scoppierà e non rimarrà niente, provate invece a bucare una pietra: romperete l’ago!».