Algeria: prove di governo

Il nuovo presidente della Repubblica, Abdelmadjid Tebboune, eletto nonostante la piazza rivoluzionaria, sta cercando di avviare nel Paese un processo di dialogo e innovazione. Ma la strada è ancora lunga

Il nuovo presidente algerino sta muovendo i primi passi per cercare di aprire il Paese verso nuove prospettive. Fino a un mese fa, quando è stato eletto, ben pochi scommettevano sulla volontà e la possibilità di Abdelmadjid Tebboune di avvicinarsi alle richieste dell’Hirak, il movimento popolare non violento che da febbraio 2019 chiede con insistenza il cambio della classe dirigente e del sistema di potere algerino, e di avviare nuove politiche in grado di traghettare l’Algeria fuori dall’era Bouteflika, che ha mantenuto sostanzialmente il Paese immobile per 20 anni e sotto il saldo controllo dell’esercito.

Le consultazioni elettorali che hanno portato alla nomina di Tebboune a capo dello Stato sono state fortemente volute dal generale Ahmed Gaid Salah, capo di stato maggiore dell’esercito fin dal 2004, la vera eminenza grigia del pouvoir. Dopo due tentativi di convocazione senza esito, alla fine le elezioni si sono svolte il 12 dicembre scorso con 5 candidati ammessi, tutti in qualche modo legati alla vecchia classe dirigente. Tebboune è risultato eletto al primo scrutinio raccogliendo oltre il 58% dei voti espressi, ma i votanti sono stati meno del 40% degli aventi diritto per la forte opposizione dell’Hirak a una consultazione elettorale gestita dal vecchio regime. In realtà, quindi, il nuovo presidente è stato votato da uno scarso 23% dell’elettorato algerino.

Eppure sembra che il presidente Tebboune voglia provarci davvero a cambiare qualcosa nella direzione chiesta dalle piazze. E questo nonostante la morte improvvisa del quasi 80 enne generale Gaid Salah, suo principale sponsor, avvenuta il 23 dicembre scorso, cinque giorni dopo l’insediamento di Tebboune a El Mouradia, il palazzo presidenziale di Algeri. Al generale scomparso va comunque riconosciuto il merito di aver compreso la necessità di un cambiamento, tanto che fu proprio lui a chiedere, nel marzo scorso, al presidente Bouteflika di non candidarsi per la quinta volta, lasciando così la presidenza della Repubblica che aveva detenuto per 4 mandati quinquennali ininterrotti.

Un primo segnale di un nuovo corso si è avuto fin dall’inizio, quando il 28 dicembre il neo-presidente ha incaricato il 66 enne docente di Scienze Politiche Abdelaziz Djerad di formare il nuovo governo, con la chiara indicazione di favorire  il dialogo dello Stato e dell’esercito con l’Hirak, e in politica estera di uscire dall’isolamento in cui era finito il Paese negli ultimi anni, assumendo un ruolo attivo a livello internazionale. È dell’inizio di gennaio, inoltre, la decisione del nuovo premier di liberare dal carcere 76 esponenti della protesta antigovernativa (ma i fermati sono alcune centinaia), tra i quali il veterano della lotta per l’indipendenza algerina, l’86 enne Lakhdar Bourega, in prigione da 6 mesi per aver sostenuto le rivendicazioni dell’Hirak. Il nuovo governo (39 membri fra cui cinque donne) è composto per un terzo da politici di lungo corso, ma c’è anche qualche segnale di novità, come la decisione di non nominare un militare al dicastero della Difesa.

In politica estera, come riferisce l’agenzia Ansamed, «l’Algeria ha già preso alcune decisioni: di fronte agli sviluppi libici e al recente voto del Parlamento turco, ha inviato aiuti umanitari nelle zone di frontiera» e il confermato ministro degli Esteri, Sabri Boukadoum, che ha incontrato in questi giorni il collega italiano Di Maio, ha annunciato da parte dell’Algeria una serie di misure per contribuire alla soluzione pacifica della crisi libica. Nei giorni scorsi anche il premier italiano Conte si è recato ad Algeri per incontrare il presidente Tebboune, e la cancelliera tedesca Angela Merkel ha invitato ufficialmente l’Algeria alla Conferenza internazionale sulla Libia che inizierà a Berlino il 19 gennaio.

I tentativi di conciliazione del paese da parte del nuovo governo algerino non sono però riusciti a convincere l’Hirak, che continua a ritenere il sistema corrotto e inefficiente nonostante il parziale ricambio ai vertici. Anche la proposta del presidente Tebboune di studiare una “legge contro l’odio” è guardata con sospetto da molti. Nelle intenzioni del governo la legge dovrebbe consentire alle autorità “di confrontarsi con coloro che sfruttano la libertà e la natura pacifica dell’Hirak… con slogan che minano la coesione nazionale”. Il dibattito è molto acceso sui social media tra chi sostiene l’iniziativa di legge e chi la ritiene inutile, se non pericolosa come strumento di repressione delle legittime proteste.

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