Algeria, Tebboune è il nuovo presidente

Il 74enne, già ministro e premier, è stato eletto capo dello Stato da circa un quarto degli aventi diritto. Ha il compito di risolvere la contrapposizione tra la piazza e il vecchio potere, di cui fa parte

Il nuovo presidente della Repubblica algerina è Abdelmadjid Tebboune, 74 anni, politico di carriera, nel tempo ex ministro della Comunicazione e della Cultura, delle Comunità locali, per la Pianificazione urbana, per il Commercio. È stato pure primo ministro per un breve periodo di tre mesi, nel 2017. Tebboune è ritenuto vicino al capo di stato maggiore dell’esercito, il generale Ahmed Gaïd Salah, dunque un uomo del pouvoir (potere, ndr), quello stesso potere al quale centinaia di migliaia di manifestanti chiedono ogni venerdì, da 10 mesi, di andarsene.

Secondo i dati provvisori forniti dall’Autorità nazionale indipendente delle elezioni (Anie), Tebboune è stato scelto dal 58,15% dei votanti, una percentuale che evita il ballottaggio. Quello che però va rilevato è che i votanti sono stati soltanto il 39,83% degli aventi diritto, in altri termini il nuovo presidente ha raccolto circa 5,6 milioni di preferenze che rappresentano pressappoco il 23% dell’elettorato algerino, che è di 24,5 milioni, di cui oltre 900 mila all’estero. In un Paese che conta quasi 43 milioni di cittadini, l’età media della popolazione è quindi molto giovane. Come evidenziano anche le statistiche demografiche: i nati per donna in Algeria sono 2,5 (in Italia 1,4).

Gli altri quattro candidati alla presidenza (quelli che erano stati ammessi) erano: il fondatore del partito islamista Msp ed ex-ministro del turismo, Bengrina, che ha ottenuto il 17,4% dei voti, terzo l’ex-premier Benflis con il 10,6%, quarto l’ex-ministro della cultura, Mihoubi, con il 7,3%, e ultimo il deputato e capo del Partito del futuro, Belaïd, con il 6,6%.

Il bilancio della difficile elezione, dopo due precedenti tentativi che non erano andati in porto, non rappresenta in fin dei conti un successo per nessuno. Non lo è per il potere controllato dall’esercito, che se è riuscito a imporre un suo uomo alla presidenza della Repubblica ha però raccolto un consenso piuttosto scarso. E non lo è per la piazza, che sperava in una maggiore astensione dal voto in segno di protesta.

L'ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika
L’ex presidente algerino Abdelaziz Bouteflika

Va anche considerato che la successione al ventennio di Bouteflika non era e non è facile. Nei mesi scorsi l’Hirak, il movimento popolare di protesta non violenta, ha tentato di far uscire il Paese dall’opacità di un potere corrotto e inefficiente, senza riuscirci. Da parte sua, l’esercito ha scongiurato a quanto pare un tentativo di segno opposto di stringere il Paese in un sistema ancora più oligarchico a opera di Said Bouteflika, fratello dell’ex presidente, e di alcuni vertici dell’intelligence, recentemente condannati da un tribunale militare a parecchi anni di carcere.

L’esercito algerino, peraltro, non va sottovalutato: sommando i soldati regolari (500 mila) con le forze di sicurezza, la polizia e la gendarmeria, i militari superano gli 800 mila uomini (un militare ogni 50 abitanti), ed assorbono il 20% del bilancio dello Stato. Cercare di coinvolgere una realtà così pesante nel rinnovamento del Paese, come vorrebbero i manifestanti dell’Hirak, non è una passeggiata. Va riconosciuto al generale Salah, che ha guidato fin qui il Paese da autentica eminenza grigia, di essersi rivelato in questi mesi un abile politico, anche se non si condividono le sue impostazioni. In fondo Salah e l’esercito hanno finora consentito una qualche transizione, innanzitutto ottenendo le dimissioni del presidente Bouteflika e fermando il tentativo del fratello Said, ma anche vigilando sul non ritorno agli anni neri del terrorismo fondamentalista che ha insanguinato l’Algeria negli anni Novanta, provocando più di 120 mila vittime. Certo, in cambio hanno anche mantenuto in vita quel sistema che l’Hirak vorrebbe oggi abolire o almeno superare. In questa prospettiva si può comprendere la pretesa del generale Salah di ritenere che nell’ultimo anno l’esercito si è “allineato” alle legittime aspirazioni del popolo algerino.

Le proteste della piazza, in particolare ad Algeri, continueranno. Il cambiamento radicale della leadership politica non si è verificato con le elezioni presidenziali del 12 dicembre. L’elezione di Abdelmadjid Tebboune ha deluso chi sperava in un cambio radicale. Eppure, nonostante tutto, il neo presidente, ben cosciente delle contestazioni e della delusione, e del momento critico che il Paese attraversa, all’indomani dell’elezione ha voluto precisare: «Tendo la mano alla piazza».

 

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons