Alfonsina y el mar
Il titolo è quello di una canzone degli anni '30 ispirata alla fine della poetessa argentina Alfonsina Storni, che malata di tumore, andò incontro alla morte in mare. Qui abbiamo un’anziana signora (ben interpretata da Lucia Bosè), che ha vissuto a lungo in Italia e che decide di ritornare nel paesino cileno, circondato dal deserto, dove ha vissuto la sua infanzia. Conosce una ragazza (la peruviana Magaly Solier, Orso d’Oro 2009), che sogna di fuggire lontano. Divenute amiche si dedicano insieme ad organizzare prima una tv locale coinvolgendo gli abitanti, e, poi, una squadra di calcio femminile. Ma non riescono a colmare le loro esigenze. L’anziana donna, amareggiata dalla solitudine sperimentata fin da piccola, si rivolge al deserto come Alfonsina si era rivolta al mare.
È indubbiamente una storia triste, ma raccontata con poesia, che sa cogliere particolari che parlano di vita. Sono le intuizioni della bellezza di quei luoghi aridi ed abbandonati da tempo, i brevi scambi con gli abitanti indios, così semplici e autentici nella loro esistenza elementare, i modi dolci, anche se a volte addolorati, con cui le due donne si parlano, l’umorismo con cui sono mostrati i tentativi con la tv e quelli con la squadra di calcio. E c’è anche il tono visionario con cui le due incontrano il simulacro del demone delle miniere, quasi incarnazione dell’aridità del deserto e responsabile del vuoto delle loro vite.
Inoltre, nel racconto su queste due donne esistono anche cenni che alludono ad una speranza del dopo. Lei va nel cuore del deserto per ascoltare il vento, simbolo di un significato totalmente altro che può nascere quando tutto intorno tace. E la bella canzone, contenuta nella colonna sonora di Enrico Sabena, tra note di dolcezza struggente ha parole che accennano a nuove poesie da cercare oltre. Una visione poetica che migliora il reale o che sa cogliere aspetti che normalmente sfuggono?
Regia di Davide Sordella e Pablo Benedetti (con lo pseudonimo di K. Kosoof); con Lucia Bosè, Magaly Solier.