Alfonsina e il mare

La poetessa argentina Storni, divenuta leggenda, ebbe una vita breve e travagliata, conclusasi in tragedia. Ma il suo canto non muore
Alfonsina Storni. Fotografia estratta del sito ufficiale di Ariel Ramirez

Sulla costa atlantica, Mar del Plata è una metropoli della provincia di Buenos Aires le cui risorse principali sono la pesca e il turismo. Suo illustre figlio è Astor Piazzolla, il massimo musicista argentino e riformatore del tango, al quale è intitolato l’aeroporto internazionale. Mar del Plata viene chiamata anche “la ciudad feliz” (la città felice) o semplicemente “la feliz”. Ma tale non è stata per la poetessa e giornalista Alfonsina Storni, che un giorno del lontano 1938 l’ha scelta per concludervi in modo tragico la sua esistenza.

 

Alfonsina nasce nel 1892 nel Canton Ticino (Svizzera) da genitori italiani emigrati poi nella terra dei gauchos quando ha solo quattro anni. Dopo la morte del padre, le già precarie condizioni economiche degli Storni si fanno tragiche, al punto che già a dieci anni lei è costretta ai più umili lavori nel Café Suizo gestito a Rosario dai suoi.

 

Più tardi, la vediamo impegnata in numerose attività culturali; frequenta circoli intellettuali, scrittori e politici, e inizia a scrivere per alcune riviste letterarie. Nel 1907 si unisce come attrice ad una compagnia teatrale: è la svolta che le allarga gli orizzonti, portandola a percorrere nell’arco di un anno l’intero Paese. Ma recitare non è la sua strada, anche se continuerà a interessarsi di teatro arrivando a comporre una commedia e due farse. 

 

Nel 1912, conseguito il diploma di maestra, si trasferisce a Buenos Aires con la speranza di vedervi realizzate le sue aspirazioni artistiche. Ha vent’anni ed è incinta: sfidando i pregiudizi dell’epoca, porta avanti la gravidanza senza mai rivelare il nome del padre. Per mantenere il figlio Alejandro e sé stessa deve lottare, affrontando da sola le difficoltà della vita. Da sola? Le fa compagnia il pungolo della poesia.

 

La sua prima raccolta, La inquietud del rosal, in cui sfida il maschilismo imperante e rivendica il diritto della donna a realizzarsi e a vivere una propria indipendenza, è del 1916. Da ora in poi l’attività poetica si fa intensa, quasi febbrile, rappresentando per lei anche un riscatto esistenziale e sociale.

 

Nel 1920 ottiene la cittadinanza argentina e i primi importanti riconoscimenti con Languidez, opera dai toni più maturi e autobiografici. Ormai la sua fama si va espandendo anche all’estero, mentre stringe amicizie con i maggiori rappresentanti della cultura latinoamericana. Tra questi, lo scrittore uruguayano Horacio Quiroga, che avrà un ruolo importante nella sua vita.

 

Nel 1923 la troviamo insegnante alla Escuela Normal de Lenguas Vivas e attiva nell’organizzazione delle biblioteche popolari socialiste della capitale. Partecipa alla nascita della Società argentina degli scrittori e intanto pubblica su varie riviste e quotidiani articoli sferzanti e ironici con i quali mira a scardinare i pregiudizi della società patriarcale e conservatrice degli anni Venti, non solo in Argentina.

 

Ocre, quinta raccolta apparsa nel 1925, rappresenta il culmine della sua attività poetica, anche se non viene da tutti capita perché troppo fuori dagli schemi e per lo stile troppo “diretto”. A questo punto, insieme a Gabriela Mistral e a Juana de Ibarbourou, Alfonsina è considerata una delle più grandi poetesse viventi del continente latinoamericano. Anche la critica internazionale le è favorevole. Ma questo successo non scontato (siamo in un’epoca in cui le donne scrittrici non godono di grande considerazione) provoca in Alfonsina, che nella sua modestia non si è mai dichiarata “artista”, l’inizio di una nevrosi.

 

Nel 1935 le viene diagnosticato un tumore. In seguito all’asportazione di un seno, il suo carattere allegro ed esuberante muta: diventa scontrosa, si isola, ha frequenti attacchi di nervi. E il male non si ferma. Due anni dopo, un altro duro colpo: Horacio Quiroga, colpito anche lui da un cancro, si suicida. All’amico carissimo lei dedica una poesia nella quale unifica quella morte e la propria. Del resto, già ad alcune sue liriche questa donna ancora giovane ha affidato il presentimento di una vita breve, ravvisando nelle profondità marine la sua “casa” definitiva.

 

Nel percorso poetico della Storni si può riconoscere un passaggio dalla sofferenza personale ad una più universale, dal romanticismo degli esordi a un intimismo che richiama le avanguardie artistiche dell’epoca. Non sono estranei a questa maturazione i viaggi in Europa fatti nel 1930 e 1932, che l’hanno messa a contatto con atmosfere e autori di nuovo genere. Le ultime opere di questa lottatrice fragile e ipersensibile sono venate di pessimismo, per la consapevolezza di non poter mai attingere la vera felicità. Le caratterizza una libertà compositiva che infonde alle immagini maggiore visionarietà.

 

Impossibilitata ormai a scrivere per i forti dolori e senza più speranza di guarire, Alfonsina programma il suicidio: nel piccolo albergo di Mar del Plata dove ha preso alloggio scrive una lettera d’addio all’amatissimo figlio e alle prime luci dell’alba raggiunge la rinomata spiaggia La Perla ancora deserta. Poi, dall’alto del molo, si consegna all’abbraccio di quello stesso oceano che dall’Europa l’ha condotta in America. È il 25 ottobre del 1938 e lei ha quarantasei anni.

 

Poco prima ha inviato al quotidiano La Nación la sua ultima poesia Voy a dormir: «Denti di fiori, cuffia di rugiada,/ mani d’erba, tu, tenera nutrice,/rimboccami le lenzuola di terra/ e la trapunta di muschio cardato./Vado a dormire, nutrice mia, addormentami./Mettimi una lampada al capezzale;/una costellazione, quella che ti piace;/tutte sono buone; smorzala un poco./Lasciami sola: ascolta germogli spuntare…/ti culla da lassù un piede celestiale/e un uccello intona il suo canto/perché dimentichi… Grazie. Ah, un favore:/se lui chiama di nuovo al telefono/ digli che non insista, sono uscita…».

 

“Lui” è il figlio Alejandro. Non un altro uomo, oggetto di un amore non corrisposto, come tanti hanno favoleggiato.

 

Oggi nella cultura sudamericana il mito di Alfonsina è più vivo che mai. A ricordarla su quella spiaggia è stata eretta una stele, mentre il suo corpo riposa a Buenos Aires nel cimitero della Chacarita, fra altre personalità. Negli anni Sessanta la sua tragica fine ha ispirato a Félix Luna e ad Ariel Ramírez testo e musica per la struggente Alfonsina y el mar, cavallo di battaglia della grande Mercedes Sosa. Vi si immagina la poetessa mentre si avvia verso la pace degli abissi marini, stampando le sue orme sulla sabbia. Recita il ritornello: «Te ne vai con la tua solitudine, Alfonsina./ Che poesie nuove andasti a cercare?/ Una voce antica di vento e di sale/ ti blandisce l’anima e la guida./ E tu vai fin là come in un sogno addormentata, Alfonsina vestita di mare».

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