Alex Langer, un caduto per le vie della pace
A 25 anni dalla scomparsa di Alex Langer (1946-1995) non possiamo esaurire velocemente, nella ricorrenza di un giorno, la feconda memoria della vita di questo politico “estremista” mite e profetico.
Sempre controcorrente, amato e incompreso, promotore di quella “conversione ecologica” che in molti hanno ora imparato a citare con l’enciclica Laudato Si’ di papa Francesco.
Tutti i temi affrontati da Langer sono sempre più attuali, dal ripudio della guerra alla salvaguardia integrale della vita. Come invito ad approfondire la sua complessa figura riportiamo il testo dell’editoriale che l’allora direttore di Città Nuova, Guglielmo Boselli, scrisse nel 1995, pochi giorni dopo la tragica morte di Langer, raccogliendo l’invito a restare non da soli, ma insieme, “in primissima linea” nella “nuova frontiera” della costruzione della pace.
Per una conoscenza adeguata di Alex Langer rimandiamo al sito della Fondazione che porta il suo nome.
«Forse è troppo arduo essere dei portatori di speranza: troppe le attese che ci si sente addosso, troppe le inadempienze e le delusioni che inevitabilmente si accumulano, troppe le invidie e le gelosie di cui si diventa oggetto, troppo grande il carico di amore per l’umanità e di amori umani che si intrecciano e non si risolvono». Forse in queste parole scritte a suo tempo da Alex Langer in occasione del suicidio di Petra Kelly, una esponente dei “verdi” tedesca, c’è la intensamente sofferta spiegazione del suo personale suicidio, sulle colline di Pian dei Giullari, presso Firenze, dove vive la moglie Valeria Malcontenti.
Ce l’aveva messa tutta, a modo suo, l’ancor giovane parlamentare europeo, durante la sua vita, per gettare ponti. A cominciare dal tempo in cui, studente al liceo dei francescani, nella sua Vipiteno, aveva lanciato il primo giornalino bi-lingue, dal titolo molto significativo: Il Ponte. Voleva ricucire i due mondi, tedesco e italiano, della sua terra, e lo fece pagando di persona, rifiutando di applicare, per quanto lo riguardava, il censimento etnico che nell’ 81 impose a ogni abitante della provincia di Bolzano di dichiarare la appartenenza a uno dei tre gruppi etnici: tedesco, italiano e ladino. Rifiuto che in un primo momento gli fece perdere il posto di insegnante. E in un secondo tempo, non gli permise di presentarsi alle elezioni a sindaco di Bolzano.
“Zono di puro zangue meticcio“, dirà ironicamente nel suo italiano di pronuncia dubbia. Non sopportava le divisioni. Per questo, dopo aver militato in Lotta continua, si è battuto, come capogruppo dei verdi al Parlamento europeo, per una Europa delle regioni “interetniche”, e per la costituzione di un “corpo di pace europeo civile“, composto tra l’altro da obiettori di coscienza; e ha creato “Verona forum”, una organizzazione non governativa per riconciliare fra loro le diverse etnie della ex Jugoslavia; e ha contribuito a manifestazioni per la pace, ultima delle quali il 26 giugno, in occasione dell’incontro dei capi di governo dei Paesi d’Europa a Cannes, per chiedere la fine della guerra nell’ex Jugoslavia e l’accoglienza della Bosnia nella Unione europea.
Per non parlare della sua azione di soccorso alle popolazioni lacerate dalla guerra, attraverso iniziative di volontariato, e viaggi a Sarajevo.
Aveva dedicato il suo impegno agli emarginati: quelli della Bosnia, come quelli del Kossovo, come gli zingari. E per salvare la natura aggredita dalla incoscienza di chi ha vedute ristrette e guarda solo agli interessi immediati.
«Ha speso tutte le sue energie e tutte le sue risorse», è stato detto di lui. Così, non ce l’ha fatta. Il suo “ponte” si è spezzato. Nel messaggio lasciato sul cruscotto della sua auto prima di uccidersi, ha scritto fra l’altro, in tedesco: «Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati. Anche nell’accettare questo invito mi manca la forza, Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto».
Era solo. Si sentiva tremendamente solo nel gettare ponti, nonostante i molti che apprezzavano e condividevano il suo impegno senza limiti per il superamento di ogni barriera.
Certo, un suicidio è sempre il più grande fallimento. Alex Langer è uno di quelli che sono caduti lungo la strada difficile della convivenza pacifica. Ma questa è una bandiera che non si può ammainare.
Qualsiasi convinzione politica o ideologica si intenda sostenere, qualsiasi opinione si possa avere del complesso personaggio Langer, su questo punto non si può arretrare. E una “nuova frontiera” – oltre ogni frontiera – che è possibile raggiungere “insieme”, da persone provenienti da diverse estrazioni culturali, oltre gli ostacoli enormi che han fatto scrivere a Langer, da solo: «I pesi sono divenuti davvero insostenibili, non ce la faccio più».
Nel cammino arduo per giungere ad una pace vera si richiede l’impegno di tutti. Siamo tutti in primissima linea.