Alessandro Sortino la “Iena rossa”
Portano gli occhiali scuri e l’abito nero. Smascherano le truffe e denunciano le ingiustizie. A loro modo sono dei supereroi della tv. Le iene sono uno dei programmi più amati dai giovani e più temuti dai potenti. I protagonisti della trasmissione di punta di Italia Uno sono diventati tra i volti più famosi della tv. E nella pattuglia crescono le azioni del “rosso” del gruppo”, Alessandro Sortino, l’unico giornalista della banda insieme ad Enrico Lucci. Credo che siano rimasti in pochi. Ma se dovessi spiegare cosa sono “Le iene” a chi non ha mai visto in tv il tuo programma, che diresti? “Prendete il meglio della tv (le inchieste, la passione civile, la difesa dei cittadini) poi prendete il peggio (i giochi scemi, le donnine, i reality show) e shekerate. Il risultato che otterrete sono Le iene. Un programma nel quale ci si vergogna allo stesso tempo di essere seri e di essere scemi”. Ma iena si nasce o si diventa? “La libertà è un istinto. Ma rovescio la provocazione: non si può imparare a essere liberi, ma si può disimparare. Basta abituarsi alle piccole e grandi ipocrisie del potere. Dunque iene si nasce. Ma pecore si diventa. Bisogna mantenere sveglia la propria coscienza”. Le iene si avventano sulla preda. La iena televisiva è efficace nella sua denuncia perché aggredisce il potente di turno? “La quintessenza del nostro programma è quella di fare ai potenti domande che i potenti non si vogliono sentir fare. Dunque la quintessenza del nostro programma è quella di aggirare gli uffici stampa, che concedono le interviste dei loro assistiti solo quando sono certi che ne usciranno bene. Viene da sé, che la quintessenza del nostro programma è assalire i potenti. Vi invito a interpretare questa pratica come legittima difesa”. Sembrano esserci due anime nelle iene.Quella più incline al cabaret e quella che si indirizza di più verso il giornalismo. Come si conciliano? “L’ex presidente degli Stati Uniti Reagan faceva l’attore, Berlusconi suonava sulle navi da crociera. L’azione politica sempre di più è caratterizzata da eventi scenici. Il potere seleziona sempre di più i suoi esponenti nel mondo dello spettacolo. I giornalisti devono trovare un linguaggio che si attagli a questa realtà. Lo strumento principe del potere è il linguaggio. Il potere piega il linguaggio ai suoi fini, utilizza il linguaggio non per parlare, ma per nascondersi. Oggi il linguaggio del potere è preso in prestito dal cinema, dal teatro, dallo sport, dalla tv. L’antidoto a questo veleno è utilizzare in senso opposto medesima tecnica. Ecco come si conciliano le due anime”. È evidente che l’etica ha che fare con le iene. Qual è il senso morale, profondo, del tuo lavoro di “iena”? “Una premessa: io prendo molto sul serio il mio lavoro di dire cose serie in maniera non seriosa. Il mio lavoro consiste, quando ci riesco, nel fare il cane da guardia dei cittadini nei confronti del potere. Il potere è necessario in qualsiasi società umana. Ovunque però tende a uscire dai suoi limiti “funzionali” e a trasformarsi in una forma di dominio arbitrario. I giornalisti abbaiano quando questo accade. Se non abbaiano, entrano in scena le iene”. In pratica cosa ti spinge a denunciare gli abusi e le storture? “La speranza che i potenti quando stanno per abusare del proprio potere, percepiscano la possibilità che qualcuno se ne accorga. Che si sentano osservati”. Da questo punto di vista c’è un servizio del quale sei orgoglioso, un pezzo che ti ha soddisfatto più di altri? “Ho sollevato il caso di un’azienda tessile calabrese, i cui operai si sono ammalati in grande maggioranza di cancro. I coloranti che venivano usati sono cancerogeni. L’azienda però si è sempre rifiutata di ammettere il nesso causale, per paura di dovere pagare un premio assicurativo all’Inail maggiore di quello minimo. Il tutto con l’accordo di sindacati e autorità, uniti nel gestire i posti di lavoro e il consenso che ne deriva. A livello nazionale ho denunciato, purtroppo inutilmente visti i fatti successivi, lo scandalo delle scorte ridotte ai magistrati antimafia”. Sei credente? La fede ha qualcosa a che fare con il lavoro che svolgi? “Sì sono credente. Credo in Gesù Cristo. Non ho mai capito perché si riduce il cristianesimo alla sua morale sessuale. Uno dei messaggio forti del Vangelo è la resistenza dell’uomo di fronte al potere. La libertà di fronte al potere. Non rinnegare sé stessi di fronte al potere. Non sempre ci riesco. Nel piccolo del mio programma, e del mio ruolo di giornalista bizzarro, nella brevità dai miei servizi, ci provo”. La fede ti aiuta nell’affrontare i rischi di un giornalismo aggressivo che punta a mostrare che il re è nudo? “Chi rompe le scatole deve essere pronto a rinunciare al proprio ingaggio per mantenere la libertà. Altrimenti si scivola nell’autocensura. Spero di riuscire a restare me stesso e a continuare con questo mestiere. Spero che ci riescano altri giornalisti, oppure cabarettisti, oppure clown, oppure tutte e tre le cose. È una speranza questa che ha bisogno della fede per essere alimentata. Non tanto perché qualcuno censura quello che dici. Ma perché il linguaggio del mondo tende a possederti. Siamo parlati dal linguaggio. Siamo espulsi dal linguaggio del mondo se ci ribelliamo e spediti nel consesso dei matti, degli inaffidabili, dei terroristi. La Parola aiuta a trovare parole che non siano sotto dettatura”. A settembre si riparte. Puoi anticiparci qualcosa delle “Iene” edizione 2002-2003? “Dovrebbero entrare in scena le donne. Ci sono stati degli esperimenti un po’ clandestini. Ma dal prossimo anno la cosa dovrebbe diventare ufficiale. Dopo carabinieri capitoliamo anche noi. Per fortuna”.