Alessandria, città dei due fari

Erano la celebre Biblioteca, vero faro della cultura, e quello eretto al servizio dei naviganti: una delle sette meraviglie del mondo antico
Un disegno riproduttivo del Faro di Alessandria

Con i suoi oltre quattro milioni di abitanti, Alessandria è la seconda città più grande d’Egitto. Ma non sto ora a parlarvi dell’attuale metropoli in cui convivono grattacieli ultramoderni e antiche moschee, bensì di quella divenuta sotto i successori del suo fondatore Alessandro Magno, i Tolomei, la più grande, sontuosa e colta città Mediterraneo,  celebre per la sua  Biblioteca di oltre seicentomila volumi, in cui operava il fior fiore degli intellettuali dell’epoca, e per quel Faro eretto da Sostrato di Cnido fra il 300 e il 280 a.C.: una delle realizzazioni più avanzate della tecnologia ellenistica, che per altezza veniva subito dopo la Grande Piramide di Cheope e con essa era annoverato tra le sette meraviglie del mondo antico.

Purtroppo, dopo l’incendio della Biblioteca e il crollo del Faro in seguito a terremoti, ben poco è sopravvissuto dell’Alessandria di epoca classica a causa delle distruzioni e delle ruberie operate dall’uomo. Anche se come parziale risarcimento di quanto è andato perduto i fondali del suo porto hanno restituito, a partire dal 1993,  una enorme messe di preziosi reperti, molti dei quali relativi proprio al Faro: statue colossali, obelischi, sfingi, frammenti architettonici, ecc.  (Con quelli rimasti sul posto, invece, si dovrebbe costituire, secondo un progetto Unesco, un vero e proprio museo sommerso). E ancora, va ricordata la nuova avveniristica Biblioteca, emula dell’antica, realizzata da architetti norvegesi e inaugurata nel 2002.

La metropoli egiziana ha ispirato film come il famoso kolossal del 1963 Cleopatra (per l’occasione, venne in parte ricostruita sulla costa laziale a Torre Astura, presso Anzio) e il più recente Agora del 2009, incentrato sulla “martire pagana” Ipazia, filosofa e scienziata attiva nella Biblioteca. Ma anche romanzi come La chioma di Berenice del franco-algerino Denis Guedj, che ci trasporta alla corte del grande Tolomeo III Evergete, sfondo sul quale prende corpo una delle più appassionanti vicende della storia scientifica, voluta dal sovrano e progettata con ardito metodo sperimentale dal geniale Eratostene, matematico e geografo greco sostenitore della sfericità della Terra: misurare la circonferenza del nostro pianeta a partire dal tratto di meridiano in corrispondenza al corso del Nilo tra Alessandria e Siene (l’odierna Assuan).

Con l’abilità narrativa già dispiegata in precedenti romanzi storico-avventuroso-scientifici e, a monte, una documentazione di tutto rispetto sull’Egitto del III secolo avanti Cristo, nella Chioma di Berenice  (tradotto da Longanesi nel 2003)Guedj, che prima di darsi alle lettere  è stato un matematico, ricostruisce le tappe di una impresa il cui esito è stato sostanzialmente confermato dalla moderne misurazioni, tracciando altresì, attraverso una galleria di personaggi storici o inventati, un quadro suggestivo della vita non solo culturale dell’antico Egitto.

Tra le pagine più riuscite, quelle che descrivono le argomentazioni di Eratostene per spiegare il suo grandioso progetto, l’ambiente culturale di Alessandria con la Grande Biblioteca e l’ascesa emozionante al colossale Faro, dalla cui sommità lo sguardo può abbracciare l’intera città distesa ai suoi piedi: simbolo, questa stessa ascesa, dello sforzo dell’uomo di tutti i tempi per conquistare la luce della conoscenza, costi quel che costi.

Altro apprezzato autore di best seller che spaziano nell’antichità classica è Valerio Massimo Manfredi, proveniente stavolta dall’ambito archeologico, che nel suo recente Le meraviglie del mondo antico (Mondadori, 2014) ha dedicato un capitolo al Faro di Alessandria. «Era una torre che fungeva da segnalatore per le navi in avvicinamento, alta 134 metri secondo alcuni, più probabilmente 95 secondo altri, chiamata il Faro dal nome dell’isola su cui sorgeva […], il cui raggio di notte raggiungeva la distanza di 300 stadi, ossia poco meno di cinquanta chilometri».

Attingendo alle fonti antiche e agli studi moderni, Manfredi cerca di ricostruire l’aspetto di questo straordinario edificio che ha fatto da modello a tutti gli altri del genere («Si componeva di tre parti: una quadrangolare altra probabilmente una sessantina di metri, una ottagonale e una terza cilindrica che si suppone avesse un meccanismo rotante come i fari moderni»), per poi soffermarsi sulle varie ipotesi circa il suo funzionamento.

Ornato da sculture rappresentanti divinità e sovrani tolomaici, il Faro era ancora parzialmente in piedi nel 1303, quando un disastroso terremoto che interessò tutta l’area mediterranea finì di distruggerlo. «I grandi blocchi e le statue affondarono con tonfi scroscianti, il peso della pietra li trascinò sulla sabbia. Poi vi fu il silenzio dei millenni, finché gli stessi piccoli uomini che avevano innalzato quella meraviglia, che l’avevano vista crollare impotenti, che avevano saccheggiato il suo rudere enorme, riapparvero come creature del mare nuotando tutto attorno, li legarono e li sollevarono di nuovo alla luce accecante del sole perché ancora una volta si parlasse e si sognasse della Settima Meraviglia, il Faro di Alessandria».

Una curiosità: per darvi un’idea di questo monumento, non è necessario andare troppo lontano: il campanile della basilica romana di San Paolo fuori le Mura, col suo basamento a pianta quadrata e gli altri piani a pianta ottagonale e circolare (quest’ultimo, sede delle campane, ha l’aspetto di un tempietto con sedici colonne sostenenti una cupola) è, in proporzioni ovviamente ridotte, chiaramente ispirato al Faro di Alessandria. Del resto, nella stessa basilica c’è qualcosa che proviene dalla terra dei faraoni: quando il 23 aprile 1891 lo scoppio della polveriera del Forte Portuense mandò in frantumi le sue vetrate a colori, esse furono sostituite da sottilissime lastre di alabastro donate da re Fuad I d'Egitto.

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