Aleksandr Deineka, maestro della modernità

Le opere dell’artista sovietico esposte al Palazzo delle Esposizioni di Roma fino al primo maggio
Aleksandr Deineka

A prima vista, sembra davvero nient’altro che un artista di regime. Sovietico, nel caso. Quindi, da noi, e soprattutto dopo la caduta del Muro, sopportato. Sfilano le sue donne bionde e in salute, nude o vestite. I ragazzini vitali – i Pionieri – che nuotano, giocano, fanno atletica. I giovani uomini plastici, vestiti di luce. Immagini di un mondo sano, di una civiltà forte dove i cieli sono azzurri e sereni anche se c’è l’inverno. C’è un Portiere del 1934, gigantesco, mentre ferma il pallone: la sua figura si estende per tutta la tela: è il simbolo di una società nuova, nobile e virile. Anche le Donne che giocano a palla, del 1932, sono figure carnose, rosate: la femminilità generosa, priva di sentimentalismi della “nuova Russia”. Lui stesso, il pittore, si autoritrae nel 1948 con un fisico atletico e il piglio deciso del rivoluzionario. Aleksandr canta le gare, le adunate, disegna l’epopea del lavoro in fabbrica o nei campi, dello sport giovanile in contrasto con la debolezza della “religione”.

 

Ma non è tutto qui. Per fortuna, perché Alexsandr è un artista autentico. Il bambino addormentato con fiordalisi (1932), è giocato sull’armonia del rosa, del bianco e del blu, guardati con raccoglimento. Il Bouquet autunnale del 1933 capta con tinte “spianate” l’uccello in volo, il cielo azzurro, e il vaso di steli, stilizzati come in un dipinto di Morandi: ancora una poesia raccolta. La ragazza col libro (1934) spicca sul fondo a tinte larghe e unite, il bel volto assorto cui fa pendant quel vaso di garofani sul balcone, molto femminile.

 

Il sentimento, dunque. Aleksandr coglie l’anima di cose e persone, come, durante un viaggio americano del ’35, nel Ritratto del ragazzo negro: malinconico, pensieroso, dalla divisa grigia. Ma c’è anche la tragedia. La tempera di Mosca durante la guerra (1947) gela nel presentare un cielo nevoso sotto cui i bambini continuano a giocare mentre i soldati passeggiano armati.

 

È soprattutto nella grande tela L’asso abbattuto del ’43 che Aleksandr trova la forza ispirata di unire celebrazione dell’eroismo al dolore per la morte giovanile. Il soldato biondo che cade a capofitto dall’aereo in fiamme, posto al centro del dipinto, è un grido doloroso, disumano. Anche se i colori chiari tendono ad esaltarne la gloria, non si può non restare commossi. Aleksandr, che scompare nel 1969, sa parlare, ben oltre la propaganda, al cuore umano.

 

Il maestro della modernità. 80 opere al Palazzo delle Esposizioni. Fino al 1/5 (catalogo Skira).

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