Aldo Moro secondo Daniele Timpano

In tournée uno spettacolo originalissimo: tra i guizzi dell'autore e i salti logici di una narrazione a tratti surreale emergono le drammatiche vicende di una pagina amara della nostra storia
Aldo morto

Forte e intelligente personalità emergente della scena italiana, Daniele Timpano guarda ai fatti in un’ottica idealmente spericolata, ma rispettosa delle persone. Nato nel 1974, proprio nei giorni del sequestro Moro, Timpano aveva appena quattro anni e dunque non poteva vivere coscientemente ed emotivamente uno dei momenti più drammatici della storia italiana.
 
Il suo, perciò, è lo sguardo di chi ne ha preso conoscenza dopo, e lo spettacolo Aldo morto. Tragedia, che nasce da una raccolta di materiali eterogenei e di ampio respiro, non mira a ricostruire il sequestro e l’uccisione del presidente della Dc da parte delle Brigate Rosse, puntando soprattutto all’evocazione degli anni Settanta.
 
Un’Italia che non c’è più, ma fatta comunque di italiani che in molti casi ci sono ancora: un’epoca che ha lasciato dietro di sé una lunga scia di parole, spesso segnata dalla drammatica lacerazione tra “verità” e “immagine”. E Timpano si avventura in questa lacerazione passando attraverso un corpo, anzi una salma, nello stile di alcuni suoi lavori precedenti, come Dux in scatola con Mussolini, e Risorgimento pop con Mazzini e Garibaldi.
 
L’umorismo – spesso nero – e l’anticonformismo sono la cifra di Timpano, di questo originalissimo attore/drammaturgo/performer i cui lavori si inseriscono nel filone del teatro di narrazione, ma con un suo stile, che rielabora la dimensione surreale cabarettistica, la trascinante scompostezza del guitto, la verve del mattatore, dando vita a una narrazione che nega sé stessa, procedendo per salti logici, con una leggerezza che lascia filtrare argomenti tragici e perfino drammatici.
 
Nel caso di Aldo morto c’è il confronto con un’epoca di cui oggi molto si parla e poco si conosce, e con argomenti spinosi e spesso afflitti da pietismo posticcio, per cogliere il nocciolo umano della vicenda, quello di «Aldo vivo», fino a giungere al confronto con la morte e anche oltre, alla distruzione dell’uomo che diventa immagine e poi icona. 
 
Timpano attinge a ricordi personali entrando e uscendo da sé, dall’attore e dai personaggi che interpreta (il figlio di Moro, il reporter, Adriana Faranda, Renato Curcio); si maschera da Mazinga; dialoga con una macchinetta Renault 4 rossa telecomandata (quella dove fu trovato il corpo di Moro). Snocciola a suo modo, con profondità e leggerezza, un pezzo della nostra storia italica parlando del passato, per confrontarsi col presente.
 
Aldo morto. Tragedia, di e con Daniele Timpano. Al Palladium di Roma e in tournèe.
 
 

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