Alcune domande sull’India

Dell'origine delle caste e del rapporto dell'India con la religione zoroastriana
Roberto Catalano

Ho letto l’articolo di Roberto Catalano sul n. 183 di Nuova Umanità riguardo agli sviluppi all’interno dell’induismo. Mi ha interessato non poco la questione della formazione della struttura castale di cui avevo sentito parlare da sacerdoti cattolici. Il problema dell’origine delle caste ancor oggi imperante, pare essere legato all’arrivo in India dei proto-iraniani intorno al 1800 a.c. Sarei interessato a saperne di più, soprattutto riguardo ai meccanismi che hanno portato alla suddivisione della società indiana.

Sergio Lorenzutti

 

 

Risponde Roberto Catalano

Lei si riferisce ad una delle questioni più spinose e, per ora, tutt’altro che risolte, il cosiddetto “dibattito ariano”o la “questione ariana”. Si tratta proprio dell’arrivo, se c’è mai stato, di uno dei tre contingenti di migrazione ariana in India. Gli altri, come saprà, si pensa si siano stabiliti appunto nella Mesopotamia ed in Europa.

 

Per quanto riguarda il sub-continente è certo che fra il 2600 ed il 1900 a.c. ci fosse la presenza della civiltà di Harappa e di Mohenjo-daro, lungo la valle dell’Indo (nota per questo anche come Civiltà del fiume Indo). Si trattava di una civiltà ben progredita, ma che non conosceva l’esistenza del cavallo, che non appare in nessuno degli artefatti ritrovati. Pur essendosi sviluppata nel Sindh, una zona che oggi è parte del territorio del Pakistan, la civiltà di Harappa e Mohenjo-daro deve aver avuto un’influenza su un raggio di territorio ben più vasto. Se ne continuano a trovare reperti in varie parti del sub-continente indiano, anche a grande distanza dal sito originario: in Bihar, per esempio, nella parte orientale dell’India.

 

L’idea, che sembrava ormai assodata fino a qualche decennio fa, era che gli ariani con la loro invasione avessero spinto il popolo protagonista di questa civiltà fuori della sua sede, determinando, poi, la separazione fra le popolazioni dravidiche (originarie appunto della civiltà dell’Indo) di carnagione scura con elementi etnici afroidi, verso il sud India. Questo avrebbe spiegato, fra l’altro, la nascita di due ceppi linguistici ben precisi: le lingue ariane del nord (hindi, gujarati, bengalese, punjubi ecc.), che derivano dal sanskrito (lingua madre, ma anche termine che significa cultura – elemento questo assai significativo) e quelle dravidiche del sud (tamil, malayalam, kannada e telegu). Proprio i popoli ariani, divisi in gruppi sociali tradizionali per quei tempi – sacerdoti, guerrieri, contadini e commercianti e servi – avrebbero perpetuato la distinzione all’interno del sub-continente e le popolazioni locali sarebbero state poi, in buona parte, definite come “fuori casta”. Questa, in termini molto semplificati e concisi, la teoria che ha dominato per circa centocinquanta anni grazie ai colonizzatori inglesi, i cui antropologi, archeologi, linguisti (1), avevano via via scoperto affinità linguistiche che parevano confermare tutto questo.

 

Con l’indipendenza e la reazione al colonialismo, sul filone del movimento orientalista, anche in India si è riaccesa la discussione sulla questione. Vari antropologi e studiosi indiani hanno affrontato queste problematiche, già negli anni immediatamente successivi all’indipendenza, hanno cercando di estrapolare i risultati delle ricerche da parte dei britannici da potenziali manipolazioni occidentali che, dal loro punto di vista, potevano giustificare il colonialismo. La civiltà per loro è da sempre stata nel cuore dell’India, non è arrivata dall’esterno. Quindi, in questa prospettiva non ci sarebbe mai stata un’invasione ariana.

 

Una soluzione al dibattito potrà, con tutta probabilità, emergere solo quando si riuscirà a decifrare chiaramente i caratteri della civiltà dell’Indo che nascondo, come è lecito aspettarsi, risposte definitive a molti quesiti e, magari, anche al Suo. Lei potrà comunque, consultare Thomas R. Trautman (a cura di), The Aryan Debate, Oxford India 2005. Si tratta di un testo che raccoglie un’ottima raccolta di studi che permettono di farsi un’idea sulla complessità della questione, che resta, tuttavia, un argomento appassionante.

 

 

Un secondo aspetto che m’interessa, è il rapporto dell’India con la religione zoroastriana praticata in tempi precedenti all’invasione del subcontinente. Pare non essere rimasta alcuna traccia né della tradizione zoroastriana né del mito cosmico del Dio Mitra che, invece, è presente nell’ambito dell’Impero romano.

Sergio Lorenzutti

 

Risponde Roberto Catalano

Come accennato proprio nell’articolo in questione, l’induismo (o, se preferiamo, le religioni vediche) hanno da sempre esercitato quei meccanismi che abbiamo definito di sanskritizzazione. Grazie ad essi, come si è visto, religioni e culture che sono venute o continuano a venire in contatto con esso, sono progressivamente assorbite all’interno della tradizione vedica o upanishadica come sue manifestazioni diversificate. Non meraviglierebbe, dunque, che qualcosa del genere sia avvenuto nel corso dei millenni prima di Cristo. Non ne ho sentito parlare, ma sarebbe interessante approfondire la questione.

 

Tuttavia, per venire più vicino a noi, l’India da più di un millennio ospita la maggioranza dei seguaci (circa settanta mila perso) (2) della tradizione Zoroastriana, per altro ridotti ad una piccola minoranza (poco più di cento mila in tutto il mondo). Si trovano, soprattutto, nella metropoli di Mumbai (chiamata fino agli anni ’90 Bombay) e nello stato del Gujarat dove erano approdati nel VIII secolo, nel tentativo di mettersi in salvo da persecuzioni da parte dell’Islam.

 

Gli zoroastriani, comunemente chiamati Parsi, parlano la lingua Farsi o il Gujarati e, naturalmente, l’inglese. Proprio questo aspetto ha permesso loro di essere individuati, durante il periodo della colonizzazione britannica, come partners ideali nel settore dell’amministrazione e della burocrazia. Fra l’altro ancora oggi, molti occupano posizioni chiave in questi ambiti. La comunità vanta, poi, anche imprenditori di primissimo piano: Tata e Godrej fra tutti. Il primo, particolarmente famoso in Occidente per l’accordo di qualche anno fa con la Fiat e salito alla ribalta ancora, lo scorso anno, per avere lanciato la Nano, un utilitaria dal costo quasi irrisorio, 1000 euro, è discendente del grande Jamshetji Tata, padre non solo dell’industria metallurgica e dell’acciaio, ma anche di un modo di creare ricchezza per ridistribuirla sul territorio con iniziative di vario tipo che rivelavano già nel XIX secolo intuizioni modernissime.

 

Gli Zoroastriani hanno i loro templi del Fuoco dove è proibita l’entrata a coloro che non sono Parsi. Le strette norme endogame, la natalità decrescente e la tendenza a matrimoni in età matura sono le tre cause principali del processo, quasi inarrestabile, di progressivo assottigliamento della comunità. Inoltre, le donne che si sposano all’esterno della comunità perdono il diritto di esserne parte, anche se non è lo stesso per i maschi e per i loro figli.

 

Anche in tempi recenti sono stati pubblicati alcuni studi interessanti su questa comunità. Ovviamente la bibliografia è in inglese. Comunque per una sua opportuna conoscenza potrebbe far riferimento al testo citato nella nota, recente ed esaustivo: J.S.Palsetta, The Parsis of India.Preservation of Identity in Bombay City, Manohar, Delhi, 2008

 

Note:

1) Nel 1786 la scoperta della famiglia delle lingue indo-europee fu merito di William Jones, fondatore e presidente della prestigiosa Asiatic Society. Il filone delle lingue dravidiche fu individuato nel primo decennio del XIX secolo per merito dell’amministratore inglese di Madras, Francis Whyte Ellis, anche se il merito va spesso al vescovo anglicano Robert Caldwell, che pubblicò uno studio alcuni decenni più tardi. Gli scavi nella valle dell’Indo iniziarono a metà del XIX secolo, ma solo nel 1929 l’indiano R.D. Banerji (che comunque operava per conto della Archeological Survey of India) vide venire alla luce reperti chiaramente appartenenti a quella civiltà. 

2) Cf. Census of India 1981 e S.F.Desai, Statistics of World Zoroastrians with Special Reference to Indian Zoroastrians, Bombay 1964 in J.S.Palsetta, The Parsis of India. Preservation of Identity in Bombay City, Manohar, Delhi, 2008, nota 1, page 1

 

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